Diamo il benvenuto su Music.it a Riccardo Brunetti. Regista, musicista, attore, psicologo e docente: qual è l’abito che ti sta meglio? E qual è il filo rosso tra le tue tante attività?
Messe così in fila, sembrano tante cose, ma in realtà sono tutte complementari e si compenetrano in maniere spesso inaspettate. L’arte è sempre stata una parte fondamentale e necessaria della mia vita, fin da piccolo. Tutta la mia famiglia aveva a che vedere con l’arte: teatro, disegno, pittura, danza, musica. La psicologia è arrivata molto dopo, ma è diventata parte integrante della mia vita. Non saprei definire un filo rosso… forse la connessione è semplicemente ciò che mi interessa in determinati momenti. Amo tenermi occupato.
Le arti si sincretizzano all’interno delle esperienze immersive, gli spettacoli che vengono subito in mente pensando al tuo nome. Vuoi spiegare ai nostri lettori cos’è un’esperienza immersiva?
Sono entrato in contatto con il teatro immersivo nel 2013 in Inghilterra e subito ne sono rimasto folgorato, e ho deciso di portare questo tipo di esperienze in Italia. Un’esperienza immersiva è una forma di spettacolo dal vivo che restituisce alla performance la sua componente essenziale: la centralità della presenza. Esserci con tutti i sensi, disposti a farsi domande e a giocare con la finzione – è realmente qualcosa che unisce l’esperienza narrativa di un film o un libro, la complessità della vita reale, la ludicità di un gioco, il piacere di porsi delle domande. Fin dalla prima volta, ne sono uscito affascinato e un po’ cambiato. Con i miei colleghi sviluppiamo il nostro lavoro sperando di regalare a chi viene a visitarci la stessa sensazione.
Project XX1, la tua compagnia, si è specializzata proprio in questo settore. Lavorando con cast e sceneggiature molto diverse. Come scegliete i vostri compagni di viaggio e i testi che interpreteranno?
I testi su cui lavoriamo sono sempre originali, spesso ispirati a più opere esistenti. La necessità di lavorare su originali proviene dalla peculiarità della forma immersiva. Nessuna opera purtroppo è già pronta per questa modalità. Ma, come accennavo, l’ispirazione proviene da molte fonti. Ogni esperienza immersiva deve attingere a varie sorgenti, per la ricchezza necessaria a comporre qualcosa di così complesso. I collaboratori più preziosi sono coloro che si fanno valere sul campo, lavorando con noi e mostrando la loro determinazione. Siamo stati abbastanza fortunati da incontrare tante persone in questi anni che hanno amato profondamente ciò che facciamo, e la rete è cresciuta.
Come si deve preparare il performer ad andare in scena in un vostro spettacolo?
In molti modi. Certamente un’esperienza immersiva include molte delle abilità classiche di un attore, alcune più importanti di altre. Una sensibilità all’uso dello spazio e alla costruzione di relazioni con i partecipanti-spettatori, la volontà di cercare dettaglio in ogni azione, per mantenere vivo il proprio personaggio, la capacità di intessere relazioni con gli ospiti al di là della semplice partitura scenica. I migliori attori sono quelli che riescono a costruire relazioni con molto poco. Sono loro che, una volta sostenuti dal mondo immersivo che costruiamo ogni volta, possono davvero far vivere un’esperienza unica a chi viene a farci visita. Per arrivare a questo, ogni attore viene messo bene alla prova da tutta la nostra equipe.
Quanto è importante la musica in ciò che fai? E che ruolo ha nella tua vita?
La musica fu uno dei miei primissimi avvicinamenti all’arte e tutto il mio lavoro ha profondamente a che fare con la sensibilità musicale. Quando studiavo musica, andavo pazzo per il progressive italiano e il jazz. Amo pensare che il mio interesse non sia scemato, ma solo mutato negli anni. Ogni esperienza immersiva è pensata e costruita come se fosse una sinfonia. Una sinfonia esplorabile dall’ascoltatore, come se potesse passeggiare tra le file dell’orchestra per ascoltare più chiaramente i movimenti degli strumenti che compongono l’insieme.
Dal 17 al 28 aprile Project XX1 sarà al Teatro Garbatella di Roma per la nuova edizione di “La Fleur – Il fiore proibito”. Cosa dovranno aspettarsi gli spettatori da questa nuova esperienza immersiva?
“La Fleur – Il fiore proibito” è il nostro omaggio al noir, alla filmografia dedicata al mondo sommerso, al crimine, alla spietatezza. I nostri ospiti metteranno piede nel mondo proibito, per chiedersi insieme a noi cos’è la giustizia, cos’è la fedeltà, il tradimento e l’ambizione.
Ci sarà anche la musica dal vivo…
Già nella prima versione di “La Fleur”, nel 2017, alcuni performer si esibivano in alcuni classici del jazz. Quest’anno alcune serate saranno impreziosite da alcuni duetti ospiti, che suoneranno durante la serata. In fondo La Fleur è un locale…
Cosa pensi che manchi oggi nella scena culturale e artistica italiana? E quali possono essere le ricette per sopperire a queste mancanze?
L’Italia è sempre stato un paese che ama le sue arti e questo amore è sempre stato tangibile attraverso le generazioni. Ma questo ha fatto sì che l’innovazione, purtroppo, venga spesso vista con una punta di diffidenza. Questo fa sì che la scena italiana sia sempre piuttosto indietro rispetto al panorama europeo, reiterando formule che necessariamente si esauriscono. L’altro grande problema è legato alla burocrazia italiana per lo spettacolo dal vivo. Purtroppo la nostra legislazione è pensata solo per le grandi produzioni. Chiunque non abbia una produzione alle spalle rischia di affogare nelle regole o di essere costretto ad aggirarle.
Se potessi ingaggiare un artista, del passato o del presente, per fare una perfomance con Project XX1, chi sarebbe?
La mia formazione è legata a moltissimi artisti. Come Jerzy Grotowski, la Socìetas Raffaello Sanzio, la Fura dels Baus, i Punchdrunk. E, per citare qualche musicista, Dmitrij Šostakovič, gli Area con Demetrio Stratos, Frank Zappa, le Zap Mama. Ciononostante, credo che il nostro compito sia quello di rinnovare ciò che esiste. Quindi ad ognuno il suo! (Ride).
Cosa c’è nel futuro di Riccardo Brunetti? E in quello di Project XX1? Cosa vedremo prossimamente?
E chi lo sa? Progetti ce ne sono tanti, ma amo concentrarmi sul presente. Finora, per fortuna, Project XX1 è cresciuto costantemente. La fortuna aiuta gli audaci, quindi cerchiamo di continuare ad essere coraggiosi. Per esempio proponendo mondi sempre più articolati e complessi, che si estendano sempre di più al di fuori dei confini della serata di spettacolo.
Prof., mi parli di un argomento a piacere per chiudere.
Uno dei motivi per cui amo le esperienze immersive è perché restituiscono al teatro ciò che gli è proprio. Per farne esperienza bisogna esserci, in carne ed ossa. Non si può ridurre in video, non si può vivere in maniera vicaria, online, non si può veramente raccontare. Il primato torna ad essere quello dell’esperienza. Ma per vivere esperienze, la responsabilità non è solo nostra, ma anche di chi ci visita, di chi partecipa. Lo spettacolo immersivo restituisce allo spettatore il potere e la responsabilità delle sue scelte. Per fare scelte ci vuole coraggio, quindi, alla fine di una serata con noi, credo che tutti si sentano un po’ più coraggiosi. Quando la magia riesce, ci si sente come quando scendiamo da una montagna russa: ancora con l’adrenalina addosso.
Ti ringrazio per essere stato con noi. Non vediamo l’ora di entrare dentro La Fleur! A presto.
Grazie a voi! Un saluto a tutti i lettori di Music.it. Ci vediamo dal 17 aprile al Teatro Garbatella di Roma!