Serve una buona dose di coraggio per affrontare l’ascolto di “dDrop”. È buona idea svestirsi di ogni preconcetto di cui si ricoprono soprattutto gli ascoltatori del rock e del metal, specialmente quelli più conservatori. “dDrop” richiede concentrazione ed orecchie fine già a partire da “Intro”. Il felice connubio di effetti elettronici che ricreano un’atmosfera bucolica si distende in un ritmo assolutamente ballabile, e per pochi minuti si è immersi in un’atmosfera da rave.
“dDrop” viene reiteratamente pronunciato come un mantra, un incantesimo. Fino all’arrivo delle guardie. Il riff d’apertura di “Wolf” è sulle frequenze del grunge classico, per poi transitare velocemente verso frequenze più decisamente metal. I Limp Bizkit e i Linkin Park ci avevano già svezzati a consistenti parentesi di rap, in cui il metal a volte ha fatto solo da sfondo. La cosa che colpisce di questa seconda traccia, però, è la pulizia con cui attuano la sintesi tra heavy metal e rap, per cui la reazione risulta perfettamente bilanciata.
Non ho la più pallida idea di che rumore potrebbe fare davvero un ECG che scandisce i battiti di un cuore. Ma mi è venuto in mente ascoltando l’intro di “Intimo massacro”. Il transito alla prima strofa è un ritmo ossessivo e ripetitivo, su cui si adagia un energico riff di chitarra. Ma c’è qualcosa che ancora non lasciano andare i dDrop. Con “R.E.D” ci rendiamo conto di quanto screaming sia rimasto incastrato in gola per troppe tracce, sempre ben sostenuto da giri di chitarra ampiamente distorti, poggiati su una solida ritmica condivisa anche dalla parte elettronica della strumentazione.
In “Dammi la verità” è altrettanto divertente studiare la schizofrenia di un genere come il rapcore a cui i dDrop fanno riferimento: la vocalizzazione persiste nella metrica ordinata mentre la melodia si alterna tra console solitaria e inserzioni strumentali. Solo in seguito anche il cantato si fa melodia, quasi a preparare il campionamento di un cult del cinema. I Dream Theater hanno citato “Nuovo cinema Paradiso”. Cosa avranno scelto mai i dDrop? “X-Files”, inizia con interferenze sonore. Quando vengono equalizzate del tutto, si apre potrebbe sembrare una ballata gradevole.
Se il rap qualche volta si è adattato a toni dolci e melanconici, non è questo il caso. La rabbia stride dolorosamente con la tristezza della base. O c’è qualcosa che stona o è una semplice questione di gusto. Se resta apprezzabile l’unione degli effetti scelta, non dire la stessa cosa della linea vocale scelta. “Mors tua” è stato il singolo di lancio dell’album. Si apre con un consistente riff di basso iniziale, che svetta sul sottofondo perpetuo della sequenza mixata. Una struttura semplice, unita a giri di chitarra immancabilmente in distorsione, che ci accompagnerà per tutto l’ascolto del brano.
Un po’ di screaming in più non ci sarebbe stato male, ma come prima è una questione di gusti. “Disagio” ha una struttura è molto simile a quella di “Mors tua”. Forse troppo, mantenendo ferma l’esistente differenza di contenuto delle due liriche. Tutti improntanti su una feroce critica della società, ciò che più si apprezza dei testi dei dDrop è la pulizia contenutistica dietro al linguaggio colorito che pur deve caratterizzare il rap.
Dietro la rabbia, c’è un occhio critico disilluso e non banale sulla società, descrivendo con pennellate e versi veloci la realtà urbana e suburbana, in tutte le sue sfaccettature. Spaziano dal razzismo, alla protesta contro le ingiustizie sociali date da squilibri economici sempre più insostenibili. Inutile dire che i dDrop sono fieramente schierati dalla parte degli ultimi, senza quei terribili “ma” che troppo spesso ci fanno rabbrividire.
L’apertura di “NeWorld” è decisamente elettronica. Si spiega, sviluppa ed infine esplode in nu metal nel ritornello, che si articola come una nenia tribale. Interessante il giro di basso che ci introduce in “Carne Cruda”, e ci conduce per mano, attraverso energiche scratchate, ad un’esplosione vocale e sonora più propriamente metal nel ritornello, nel quale è impossibile comunque non ascoltare le interferenze.
Suggestivo il rumore di carillon quasi sopraffatto da fruscii che caratterizza l’apertura di “Bornout”. A quanto pare ai dDrop piace stupire. Forse è la canzone più pesantemente sincretica, in cui a interferire col rapcore, il nu metal, di per sé già compositi, ci sono note più propriamente cantautorali. Ci salutano con “New violence”, la traccia più marcatamente rap, in cui il sottosuolo di suoni ipnotizza l’ascoltatore.
“dDrop” è un signor album. Non è consigliabile a chi non è pratico del rapcore. I ragazzi hanno dimostrato di sapersi muovere con tanta destrezza tra tanti generi. Non ci sono appunti stilistici da fare che non siano meramente soggettivi e legati al gusto del singolo ascoltatore. Mi auguro che i dDrop continuino – o inizino? – a divertirsi, e non smettano di denunciare ciò che all’uomo fa più male.
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dDROP
dDrop
6 aprile 2018
(R)esisto
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