La prima comparsa dell’hyperpop risale circa alla metà degli anni 2010 e sembra sia stato coniato dal circuito di artisti amatoriali presenti su SoundCloud. A sua volta il data alchemist di Spotify, afferma di aver letto il termine per la prima volta nel 2015, riferito agli artisti dell’etichetta britannica Pc Music.
Ma come spiegare cos’è l’hyperpop? Cercheremo di farlo in poche parole. Si tratta di un genere che unisce melodie pop a produzioni da cartone animato. La spinta della “musica da pc” e l’utilizzo massiccio di effetti sulla voce, che a sua volta ricalca melodie più o meno pop, si affianca alla massiccio utilizzo di arpeggi e all’incredibile variabilità di un brano. Insomma, un mix di una serie di tecnologie affiancato a movimenti standard della musica pop.
Il genere comincia a spopolare su Spotify, arrivando addirittura a far comparire diversi artisti del microgenere come i 100 Gecs e Charli XCX nelle classifiche di fine anno nel 2020. A favorire la notorietà del microgenere, ovviamente anche il massiccio utilizzo fatto sui social come tiktok di queste canzoni, che si prestano benissimo ai video di 30 secondi della piattaforma. Insomma, di nuovo in genere si evolve grazie ai social a colpi di pochi secondi.
Se quindi le basi trap da stadio e le voci emo massimizzate con i sintetizzatori non siano abbastanza, la micropop si trova a riunire sotto la propria ala di fan anche i fan di cartoni animati, spesso anime (cartoni animati giapponesi), che ritrovano nel microgenere, sonorità affini ai propri gusti. Inoltre seppur lo stampo generico dei brani risulti allegro e spensierato, spesso i temi affrontati non lo sono altrettanto. Infatti le liriche sono spesso cupe, e riflettono il senso di angoscia dello stesso artista. Il perfetto mix tra musica d’avanguardia e pop classico, che inizia a scalare le classifiche.