IMAGINE di JOHN LENNON diventerà l'inno degli USA sull'onda del #BLM?
Un murales di Praga ispirato a John Lennon, autore della canzone che potrebbe sostituire "The Star-Spangled Banner" come inno degli U.S.A.
Un murales di Praga ispirato a John Lennon, autore della canzone che potrebbe sostituire "The Star-Spangled Banner" come inno degli U.S.A.

IMAGINE di JOHN LENNON diventerà l’inno degli USA sull’onda del #BLM?

La proposta viene direttamente da un giornalista di una rivista americana di critica musicale. Wren Graves ci mette la faccia e denuncia l’inattualità dell’inno americano. Quante volte in Italia si sono sollevate polemiche intorno al nostro inno nazionale? A “Fratelli d’Italia” di Mameli si rimprovera l’essere una marcetta poco solenne. Si invoca a gran voce il “Va’ pensiero”, opera d’arte firmata da Giuseppe Verdi. Collateralmente allo sviluppo del #BLM, sembra sia inaccettabile per la sensibilità scossa dalla morte di George Floyd la natura schiavista dell’inno americano. Cantare “The Star-Spangled Banner” potrebbe significare rivivere ogni volta un capitolo di storia doloroso per la popolazione afroamericana. L’unica candidata è “Imagine” di John Lennon.

La terza strofa dell’inno degli Stati Uniti d’America suona così:

«And where is that band who so vauntingly swore
That the havoc of war and the battle’s confusion
A home and a country should leave us no more?
Their blood has washed out their foul footsteps’ pollution.
No refuge could save the hireling and slave
From the terror of flight, or the gloom of the grave:
And the star-spangled banner in triumph doth wave
O’er the land of the free and the home of the brave»

Traduzione:

Dov’è quella compagnia che vanagloriosamente ha giurato che la devastazione della guerra e la confusione della battaglia ci avrebbero privato sia della casa che della nazione? Il loro sangue ha cancellato la contaminazione delle loro sporche impronte. Nessun rifugio ha potuto salvare il mercenario e schiavo dal terrore della fuga, o dalle tenebre della morte. E la bandiera adorna di stelle sventola in trionfo sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi.

Davvero gli Stati Uniti d’America non si sentono più rappresentati dal loro inno “The Star-Spangled Banner”?

Non è la prima volta che parte di popolazione chiede di cambiare l’inno. Oltre all’immancabile petizione su Change.org, una nota rivista di critica musicale statunitense sembra voler interpretare anche in ambito artistico le istanze del #BLM. Che dal punto di vista storico, gli USA siano nati e si siano sviluppati sotto l’egida del suprematismo bianco (nordico, ndr) è un fatto storico. Impossibile non collegare ‘la terra dei liberi e dei coraggiosi’ dell’inno al solenne attacco della Costituzione: «Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo […] di assicurare i benefici della libertà a noi stessi e ai nostri posteri». La stessa Costituzione che nella sezione II dell’articolo 1, distingue(va) tra ‘uomini liberi’ e gli ‘altri’.

Con la coscienza e la sensibilità di oggi è davvero difficile aggrapparsi al ‘contesto’ per giustificare i regimi di apartheid che hanno attraversato la storia del Diciannovesimo Secolo. Ricordando che alcuni sono sopravvissuti fino al Ventesimo. Certo, la proposta di Wren Graves, di sostituire “The Star-Spangled Banner” con “Imagine” di John Lennon fa sorridere e imbarazza anche. Con un briciolo di realismo, siamo consci dell’impossibilità di trovare donna o un uomo totalmente immacolati nelle azioni e persino nelle intenzioni. L’utopia di “Imagine” non può e non deve essere l’inno di una nazione. Non incarna lo spirito di un popolo. Certo è che “The Star-Spangled Banner” non raccoglie la sensibilità di tanti americani da prima del #BLM.