Thomas Curry è l’affabile guardiano di un faro, che una notte scopre sulla riva una strana donna portata dalla marea. Si tratta di Atlanna, niente meno che la regina del mondo subacqueo di Atlantide. Dalla loro unione proibita nascerà Arthur, mezzo umano mezzo atlantideo, il legittimo erede al trono del mare. “Aquaman” parte dunque dal principio, dal primo incontro dei genitori del celebre supereroe, narrato con una tonalità emotiva estremamente romantica che accompagnerà anche tutti gli altri momenti salienti della storia. Il cinecomic alterna giornate tempestose, albe e tramonti con grande scioltezza, senza vergognarsi di usare gli scenari e le luci di scena in maniera esasperatamente teatrale. La bella novità rispetto alle altre opere DC Comics è che questa volta il film utilizza la comicità per smussare gli spigoli. Anche quando la narrazione abbraccia solennità ed epica i personaggi non diventano mai troppo seriosi.
Gran parte del merito è di certo di Jason Momoa. L’attore, già famoso per il ruolo di Khal Drogo ne “Il Trono di Spade”, interpreta perfettamente l’uomo nerboruto affascinante e leggermente ottuso. Aquaman prende a calci gente fin dai primi minuti, rallentando solamente per preparare una posa plastica per lo spettatore o scolarsi una birra. I suoi muscoli sono costantemente esibiti e i suoi capelli fluttuano sinuosamente sott’acqua, tanto che il supereroe sembra preso in prestito da una spinta pubblicità per profumi. Stranamente l’esaltazione del testosterone e del sentimento funziona, e il film assume le sembianze di una miscela grottesca di eccessi tecnici e narrativi. Anche la trama sembra essere tenuta sotto steroidi. Il regista James Wan incasella eventi in maniera frenetica, spostandosi continuamente di set in set. Il film non dura neanche poco (143′), ma condensa talmente tante informazioni da essere buone per un’intera trilogia.
Aquaman prende a calci gente fin dai primi minuti, rallentando solamente per preparare una posa plastica per lo spettatore o scolarsi una birra.
Ovviamente la densità narrativa comporta anche non pochi difetti. Il racconto affronta superficialmente quasi ogni argomento, fatta eccezione per il percorso psicologico di Aquaman. Il film si preoccupa in primo luogo delle scene d’azione e dei mastodontici scenari acquatici. Atlantide è rappresentata come una enorme metropoli densa di luci al neon, con strade subacquee affollate da squali ed enormi cavallucci marini impiegati come mezzi di trasporto. Lo scenario risulta suggestivo, ma nulla ci è dato sapere sui costumi e le usanze degli atlantidei. La macchina da presa scende sui fondali marini, ma l’impressione è che l’indagine del film non superi il livello di un campo totale elaboratissimo e sostanzialmente piatto, funzionale a una spettacolare visione d’insieme ma non a un’analisi complessa dell’universo diegetico. Sarebbe stato interessante approfondire la storia dei quattro regni del mare, ma la trama concede solo una digressione che accenna alle origini della città sommersa.
La storia potrebbe banalmente essere ridotta in questi termini: Aquaman è il ponte tra la civiltà umana e quella subacquea, «figlio della terra e re del mare», come afferma lui stesso. Tutto il film è una lunga presa di coscienza che confluisce nell’accettazione dei suoi doveri e nella rivendicazione del trono. Il suo percorso è accelerato in particolare dalla pericolosa rabbia degli atlantidei che, stanchi dell’incoscienza umana, vogliono portare la guerra sulla terraferma. È in questo frangente che il regista inserisce anche alcune pillole di morale ambientalista, rappresentando la ribellione degli uomini del mare come una sorta di risposta all’inquinamento. Lo scheletro narrativo di “Aquaman” è dunque piuttosto semplice, ma nasconde una mole spropositata di avvenimenti. Sullo schermo trovano spazio pirati, tecnologie laser, creature abissali, deserti e un paesino della Sicilia.
Aquaman è il ponte tra la civiltà umana e quella subacquea, «figlio della terra e re del mare», come afferma lui stesso.
L’ispirazione del cinecomic è sintetizzata in maniera efficace dalla titanica guerra civile che si realizza nella parte finale. Nella battaglia si scontrano i quattro regni che coinvolgono qualsiasi genere di creatura marina in uno spettacolo pirotecnico di luci ed esplosioni colorate. Come se non bastasse, sulla scena irrompe improvvisamente Aquaman cavalcando un mastodontico Kraken grazie al quale riesce a travolgere qualsiasi essere vivente. Di fatto la guerra scoppia senza nessuna ragione apparente, ma la sua esistenza è giustificata dallo sforzo tecnico e creativo impiegato per la sua realizzazione. Questa logica si potrebbe utilizzare per gran parte del lungometraggio. James Wan non è riuscito a fondare un nuovo complesso universo fantastico ma, grazie alla sua competenza tecnica e a un efficace utilizzo dell’ironia, ha offerto nuove possibilità al franchise supereroistico targato DC.