Ciao La Zero e benvenuta sulle pagine di Music.it! Abbiamo l’abitudine di cominciare le nostre interviste domandando a voi artisti un aneddoto particolare legato alla musica. Ma dal momento che il tuo è un percorso artistico dallo spettro più ampio, ti chiedo di raccontarci qualcosa che non hai mai raccontato e che può essere anche legato alla recitazione. Ti va?
Sai, durante il percorso che ho fatto finora, sono tante le cose che ho fatto. Seppure solo adesso ho prodotto qualcosa di un certo rilievo, non sono considerata ancora una cantautrice. Però è quello che sono. Per questa ragione ti racconterò un aneddoto legato alla musica, qualcosa di divertente. Intanto devi sapere che ho due lato oscuri: sono una che se è precisa nella professione, a livello personale faccio delle cose che sono irraccontabili. E poi, scrivo di notte. E lo faccio anche quando sono stanca. Inoltre, lo faccio sui post-it, non sul computer. E questo lo faccio da quando ho cominciato a scrivere, che un pc neanche ce lo avevo.
Parliamo di quando eri bambina?
No, in verità è che sono abbastanza anti-tecnologica. Non riesco a scrivere sul computer. Anche quando l’ho avuto, continuo a non usarlo per scrivere. Poi, è scomodissimo scrivere sui post-it, però così è cominciata e così continua. La cosa divertente è che io scrivo velocemente e di getto. Un giorno ero fomentatissima perché pensavo di aver scritto delle cose pazzesche nella notte precedente. Invece sono andata in studio e non sono riuscita a capire quasi nulla di quello che avevo scritto! Fu surreale, ti giuro. Non so se può essere considerato un aneddoto.
Direi che già il fatto che scrivi sui post-it possa fare notizia per quanto inusuale sia il farlo. Come te la sei cavata piuttosto?
Me la sono cavata che alla fine ho scritto un’altra cosa! Avevo tentato di ricordare quello che avevo scritto, ma solitamente non ci riesco a ricordare esattamente perché per me la scrittura, soprattutto in questi ultimi mesi, nasce proprio velocemente. Riesco a scrivere solo di getto. In quel caso, avevo cercato di ritrovare la sensazione che mi aveva portato a scrivere in quel modo così urgente, però non l’ho ritrovata.
Assaggerai la petite madelaine che te la restituirà.
Mi hai detto di aver scritto da sempre. Mi chiedo se c’è una ragione specifica per cui sei uscita allo scoperto solo adesso con “Nina è brava”, il singolo che hai portato a Sanremo giovani.
Beh sì. La musica arriva in un momento di grande maturità. Mi sono guardata dentro e ho cercato di capire quali sono le mie verità, anche le più scomode, quelle più spaventose. Scrivo di questo. Mettendomi a nudo, mettendomi in discussione, cercando di cambiare il mio punto di vista. Il motivo per il quale è poi nata “Nina è brava” è proprio questo di riuscire finalmente a guardare fuori dal mio piccolo orticello e quindi guardo anche quello che accade agli altri, nel mondo. Provo a uscire fuori dal mio, è diventata un’esigenza. La mia musica nasce adesso perché sono io a essere più interessante. Quindi sono più coraggiosa rispetto a tante cose.
Che intendi?
Per esempio, Claudio Baglioni ha detto che noi che facciamo questo mestiere abbiamo un sacco di privilegi e che attraverso di essi possiamo raccontare storie importanti e combattere qualche battaglia. Io sono d’accordo: non sempre la musica è traghettatrice di battaglie, però se capita che in un momento c’è qualcosa che ci preme e che ci fa pensare, perché no? Perché non parlare anche di cose importanti?
E qui devi avere il coraggio di farlo. In Italia potresti non essere apprezzata se prendi una posizione. Io sono convinta che siamo dormienti e lo siamo volutamente. Ho avuto tanto riscontro dal pubblico, anche a livello artistico, e devo dire che il messaggio è arrivato dritto. Ma ho anche avuto difficoltà.
Di che genere di difficoltà parli?
Difficoltà a portare in giro la canzone, farla ascoltare. Non parlo di promozione. L’ho fatta ascoltare, ma potrebbe trovare degli spazi di risonanza molto più ampi in un’Italia dove da pochissimo tempo sono morti due bambini in carcere. Non so, potrebbe essere il motivo per smuovere le coscienze e parlare di questo argomento. Io ne ho parlato, in “Nina è brava” perché mi preme. Sono in contatto con le associazioni che aiutano queste situazioni. Sto scoprendo delle realtà che alcune delle quali, ti dirò, sono proprio agghiaccianti.
“Nina è brava” nasce dall’aver avuto contatto con la realtà dei fatti. Io non ho voluto assolutamente strumentalizzare la cosa neanche per un momento; volevo solo far ascoltare la canzone. Però, al di là di questa canzone, io continuerò a insistere su questo argomento.
Intendi che ti muoverai per fare qualcosa?
Adesso voglio andare assolutamente a trovare queste associazioni. Una è Ciao, a Milano, che si occupa di madri e bambini che non sono più in carcere ma agli arresti domiciliari. E poi in carcere, anche se non sono ancora riuscita ad entrarci. Abbiamo chiesto dei permessi per fare dei concerti, ma è davvero complicato. Poi sai, per noi Sanremo Giovani è già fatto. Soltanto i due ragazzi che l’hanno vinto andranno a Sanremo a Febbraio. Come ti dicevo, la canzone è stata ascoltata, ma non ha avuto la risonanza che può dare il Festival, così come è sempre stato.
Beh, qualcosa però potrà comunque accadere in quella settimana, no?
Assolutamente. È pieno di possibilità per esprimersi. Io voglio organizzare un concerto, qualcosa. Ovviamente, non al Festival.
Torniamo indietro. A prima che nascesse “Nina è brava”. Mi hai detto che sei una cantautrice. Qual è il tuo strumento?
Il mio strumento è la penna. Io suono il pianoforte, ma le mie canzoni non partono dalla musica, bensì dalla scrittura. Io cerco di scrivere già in metrica, mi viene più semplice così. Da lì, la porto al piano. Cerco di mettere una piccola melodia al pianoforte e poi si costruisce. Ma sono sempre partita dalla scrittura e mai dalla musica perché altrimenti mi condiziona su quello che voglio scrivere, e scrivere per me è la cosa più importante. Le parole sono importanti, quelle che voglio. La canzone viene dopo.
Quanto l’aver fatto teatro influenza il tuo modo di pensare la musica?
Sono tante le cose che mi influenzano, e il teatro lo fa sicuramente. Anche se, a dirti la verità, credo che la teatralità che mi viene attribuita non sorga dal fatto che ho fatto anche l’attrice. Il teatro viene da casa mia, dalle mie origini, dai miei genitori. È lì che nasce questa poesia. Io ho vissuto un’infanzia con un padre che mi raccontava che i pesci parlavano. È un pescatore. Sono cresciuta con una meraviglia negli occhi, senza troppe paure. Mi diceva di lanciarmi dagli scogli, ad esempio. Per scrivere la mia musica io torno tanti anni indietro.
Parlamene.
Cerco di prendere un punto di vista che non è quello di oggi e che preceda tutti gli inquinamenti che ho subito. Cerco di tornare a quando ero molto piccola, a quando ero sulla barca con mio padre, quando lo aspettavo mentre si tuffava. Cerco di prendere gli anni di vita della meraviglia, quelli che ti fanno stare con un fervore che oggi non è più lo stesso. Io credo che se noi spostiamo il nostro punto di vista verso quell’età della meraviglia, allora possono nascere delle cose speciali. “Nina è brava” nasce anche da lì.
«Nina ha cinque anni», del resto. Chi è Nina? Chi la Nina in te e quale la Nina in noi?
Nina è un essere umano alla quale sono stati tolti i diritti alla meraviglia e quindi li richiede indietro. «Nina vuole andare al mare, vuole l’aquilone». Chiede delle cose semplici. Vuole la possibilità di avere la meraviglia nell’infanzia. Ognuno di noi ha diritto a questa meraviglia. Poi, naturalmente cresciamo e la perdiamo, però in quest’anno di vita mi sono confrontata con ragazzi che questa meraviglia non l’hanno avuta mai. Sono amica di molti ragazzi a San Giovanni Rotondo che sono guariti dal cancro e che hanno vissuto esperienza forti. La canzone nasce da questa mancata possibilità di vivere la propria meraviglia. Per la Nina in ognuno di noi, non so, è complicata come domanda, ci devo pensare.
A me viene da pensare che Nina possa ricordare che non deve essere scontato perdere la meraviglia di cui parli solo perché apparterrebbe all’infanzia. Come se non fosse un caso che, se le cose vanno a rotoli, è proprio perché ci siamo arresi, abbandonando l’idea che la meraviglia possa ancora vivere in noi. No?
Sì, è vero. Infatti, nonostante pensassi che la canzone fosse complicata, in verità arriva dritta a tutti: madri, padri, bambini, ragazzi. Forse proprio per questo, proprio perché ci ricorda qualcosa che abbiamo perso. Ho visto gente piangere mentre partiva il ritornello. Io per questa canzone ho cercato proprio di rievocare la tenerezza di una bambina. Secondo me, quando le persone ascoltano “Nina è brava”, provano a tornare indietro, a ricordarsi di loro. Inconsciamente sì, ci fa pensare a noi al di là del tema importante che affronta.
Sicuramente, a livello compositivo “Nina è brava” non è di facile ricezione, nonostante riesca ad arrivare, come dici. Ci hanno provato a inscatolarti dentro qualche genere?
Mi chiedevano che genere facessi, sì. Non vedono l’ora che faccia qualcosa di nuovo per capire chi sono. Anche perché qua in Italia è necessario che ti schieri da qualche parte, in un certo senso. Io però scrivo senza regole. Scrivo e basta. Se arriverò a fare un genere di musica non lo so, non è quella l’intenzione da cui parto.
Parlando ancora della tua esperienza d’attrice, vorrei sapere se continui a fare teatro.
Sì, il teatro lo faccio. Questo periodo, però, mi concentrerò molto sulla musica perché è un momento di fervore. Mi sento proprio a mio agio con le cose che sto facendo. Cosa che non mi era quasi mai capitata. Questo è un mondo che non sempre ti mette a tuo agio con te stessa. Anzi, stai sempre scomoda. Invece adesso, io che mi sento scomoda, paradossalmente mi sento a mio agio.
Eppure un palcoscenico l’hai sempre calcato. Quand’è che hai capito che questa poteva essere la tua strada?
Non credo di averlo capito mai. Succede che l’ho fatto perché non avevo una seconda alternativa. Non ho vie d’uscita. Vengo da una famiglia che non si può permettere di aiutarmi chissà quanto a livello economico. Per decidere di campare di questo o hai una condizione economica agevole oppure è complicato davvero. Io ho sempre puntato tantissimo su questa cosa e con tanti sforzi sono riuscita a vivere di questo. Tutte le esperienze da attrice mi hanno formata tantissimo. Non solo il teatro, ma anche il cinema. Lavorare con Paolo Sorrentino è stato incredibile.
Raccontami qualcosa.
Guarda, più che fare il suo film, il bello è stato avere a che fare con lui. L’esperienza è stata forte. Il film mi ha fatto mettere in discussione tantissimo. Parliamo di stare sul set del film che racconta di Silvio Berlusconi. E su quel set lui ha riportato tutto quello che le donne erano intorno a Silvio Berlusconi. Ho visto tante cose e conosciuto tante persone su quel set e proprio lì ho scritto una canzone che parla del rapporto tra un’attrice e un uomo di potere. Paolo Sorrentino poi, è un genio assoluto. Quindi a volte mi sono ritrovata a viverle le esperienze invece che recitarle. Poi lui lavora molto con la musica e a volte partiva per la tangente, e tu non capivi cosa stesse succedendo. Fino a un certo punto in cui poi tutto si faceva chiaro. È stata proprio un’esperienza formativa e intensa.
Hai in previsione di inserire questa canzone che hai scritto sul set di “Loro” e “Loro 2” dentro un tuo disco?
No. Non è una canzone da disco. La farò uscire forse sui social, con un piccolo video. È una canzone che dura 50 secondi.
Già che ci siamo: cosa mi dici di Abel Ferrara? Come è stato lavorare sul set di “Go Go Tales”?
Mamma mia! Quella è stata veramente l’esperienza più assurda della mia vita. Camminavo per Cinecittà, ero piccolissima. Lui mi ha fermata e mi ha chiesto: «Vuoi fare un provino?». Era con Willem Dafoe, io con mia madre. Insomma, mi ha fatto fare un provino, aspettare diverse ore per poi dirmi «Ti ho preso». Era surreale. Sono entrata in questo camerino dove c’erano Willem Dafoe, Bob Hoskins, attori pazzeschi e io non parlavo una parola d’inglese. Ero terribile e ricordo di aver detto al provino che invece lo parlavo. Nel film ho recitato in francese, infatti. Intanto, lo sapevo meglio e poi il mio personaggio si chiamava Sophie. Su quel set ho visto delle cose assurde. Abel Ferrara è una delle persone più istintive e di pancia che abbia mai conosciuto nella mia vita professionale. Ricordo che avevo una scena in cui dovevo ballare e fare uno spogliarello.
Era poi la tua prima esperienza col cinema vero?
Sì, infatti. Interpretavo una ragazzina che era una ballerina di danza classica che lui faceva diventare protagonista di uno striptease. Senza dirmi niente, Abel Ferrara mi fece entrare sul set. Una volta entrata, mi sono ritrovata un sacco di gente sotto al palco che mi urlava le peggio cose. Lo fece per farmi entrare nella parte, ma io mi ricordo che mi misi a piangere. Lui voleva le cose naturali, spontanee. È così che lavora anche Paolo Sorrentino. Alla fine, la recitazione non è niente altro che questo: cercare di vivere le cose che fai. Loro ti aiutano perché le vivi davvero. Abel Ferrara poi lo fa tantissimo. Lui lavora solo così. Per me è stato un trauma. Nel senso che dopo il film ho avuto un momento in cui mi sono fermata e mi sono chiesta cosa volessi fare nella mia vita dopo quella prima esperienza.
Sei andata anche a Cannes peraltro, non è vero?
Sì. Il primo Festival di Cannes. Il film aveva degli spunti meravigliosi e attori meravigliosi, ma non è andato benissimo, si è un po’ perso. Ricordo che avevo paura di andare a Cannes. Se la rivivessi adesso sarebbe diverso. Ricordo di aver pensato «dopo il film bisogna andare alla festa», mentre io volevo solo tornare a casa. Poi, il film non lo avevo mai visto prima di vederlo a Cannes. Calcola che inizia con questo mio primo piano in cui piango, e io stavo piangendo davvero. Non mi ero accorta che lui mi stesse riprendendo. Sul set c’erano telecamere ovunque, tipo la casa del “Grande Fratello”!
Avendo toccato due dei tre livelli attraverso cui hai recitato, ora dimmi qualcosa sulle fiction e la televisione. Non posso esimermi, avendo inforcato la lente di Boris, la serie.
(Ride). La televisione è sicuramente un mezzo importante e di grande comunicazione, però non è il mio mezzo. A oggi te lo posso dire. Ho provato a farla, però è un mezzo che ha una freddezza che se non sai animare, la comunicazione non arriva. Infatti stimo tantissimo coloro che riescono a farla bene. La televisione è una telecamera che sta su tutto e proprio perché è una grande telecamera, tutto arriva in maniera fredda. Non è semplicissimo. È complicato fare televisione e cercare di arrivare alle persone. La mia casa è comunque il teatro.
E tornando a casa tua: quali sono i miti con cui sei cresciuta?
Crescendo in teatro, sono cresciuta con la forma mentis di dover lavorare molto e sempre su me stessa. Vedere e studiare tutto sì, però occorre imparare a conoscersi. Ma sicuramente ci sono due donne che mi hanno ispirato moltissimo durante il mio percorso: Mariangela Melato e Gabriella Ferri. A quest’ultima mi ispiro tantissimo. Ha tante sfaccettature che adoro. Quando la ascolto mi fa fermare, sempre. Sai ho scoperto che a Sanremo si era proposta, ma non l’avevano mai presa.
Potrebbe non sorprendermi.
Tra l’altro “Nina è grande” è l’inizio di una serie di cose. Ma parlo anche di cose più normali e leggere. E la passione per Gabriella Ferri mi ha influenzato molto. Tutti mi hanno accostata a Simone Cristicchi, ma il mio spunto reale non è lui. Mi piace molto, ma la mia musica viene più da quel mondo che è quello di Ferri. Nel 2019 poi il suo mondo sfocia in una canzone come “Nina è brava”, ma anche in altri brani che magari ascolterete quando uscirà il disco. Vengono da lì. Sono stati naturalmente modernizzati, perché io vivo nel 2019, però mi piacerebbe che si sentisse quel fuoco e quella malinconia che mi appartiene molto e che aveva Gabriella Ferri.
Un accostamento facile, mi viene da dire, quello con Simone Cristicchi. Non sanno chi sei, ma hanno voluto individuarti.
Lui mi piace molto, ma sì, è facile così. Tutti ora credono che io sia la cantautrice dei temi sociali, ma non è così. Io sono io. Racconto quello che ho voglia di raccontare. Mi muovo, sono in evoluzione. Come mi disse un regista «non andiamo a vedere sempre lo stesso film». Non capisco come ci siano persone che invece scrivono sempre le stesse cose. Ce ne sono. Come fanno a non annoiarsi?
Beh, se non lo si fa nella propria cameretta, evidentemente c’è a chi piace. Dell’album invece che mi dici?
Uscirà un singolo. L’album uscirà dopo. In questo momento sto cercando di capire l’etichetta giusta con la quale collaborare. Le canzoni ci sono, è quasi finito. Mancano delle cose che vorrei mettere ancora dentro per completarlo. Però, direi che a mancarmi è capire se voglio presentarlo nei piccoli teatri o meno. Capire come portarlo in giro. Perché la mia è una musica che va anche vista. Io interpreto le cose anche con il corpo e mi piacerebbe presentarlo attraverso uno show. Al di là dei video che usciranno.
Domanda a bruciapelo: il concerto che La Zero non può assolutamente perdersi.
Faccio fatica! Sicuramente Vasco Rossi, mi piace da morire. Se dobbiamo parlare di qualcuno che mi fa impazzire, dovremmo parlare di Pino Daniele. Ma lui purtroppo non c’è più. Non so, mi viene in mente che sono stata al concerto di Ultimo e mi è piaciuto. Naturalmente, io mi ispiro a cantautori come Lucio Dalla, lo stesso Pino Daniele. Ultimo però aveva qualcosa che mi è arrivato. C’è qualcosa di onesto che lui ha e che arriva quando canta, qualcosa di diverso da quello che ho sentito finora. Diciamo che il concerto che non mi posso proprio perdere è il concerto che non ho potuto vedere: Lucio Dalla!
A te chi piace?
A me i Verdena.
Li conosco ma non li ascolto. Ma devo fare più attenzione perché purtroppo adesso sto radicata alla musica che nessuno si sente: roba della musica napoletana antica. Roba che non ha dei nomi dietro, ma canti popolari che non hanno degli autori specifici e che pure sono la tradizione. A volte, neanche capisco bene le parole per quanto è stretto l’accento. Poi, io non mi ricordo mai niente, in verità. C’è un cantautore completamente pazzo e che scrive senza regole e fa delle cose pazzesche. Quando mi tornerà in mente il suo nome te lo farò sapere, è bravissimo.
In “Nina è grande” c’è un impiego della dizione importantissimo. Chi ho visto viaggiare a certi ritmi con le parole in musica sono solo alcuni rapper. E a Napoli c’è una radice rap bella massiccia. A te piace il rap?
Il rap mi fa impazzire. Non sono un’esperta, ma anche i miei amici mi dicono «fai un pezzo rap napoletano!». In Nina non c’è il rap, ma c’è il flow. Sto scrivendo dei pezzi che viaggiano a quelle velocità. Portarlo a Sanremo Giovani è stato un pensare «oddio, se dimentico una parola qua salta tutto!». Non è successo.