È dal 1994, dall’uscita nelle sale di “Scemo & più Scemo”, che Peter Farrelly e suo fratello Bob sfornano commedie di successo elette a veri cult del genere. Ora Peter si è messo in proprio, portando a Roma quello che lui stesso definisce il suo primo film drammatico. È tuttavia un obbligo osservare che, sebbene “Green Book” sia presentato come un dramma, faccia davvero crepare dalle risate. E non si tratta di quei sorrisi a denti stretti suscitati da una battuta pungente. Il film conserva la tipica vena comica di Peter Farrelly, intrecciata però allo sfondo razzista dell’America anni ’60. Questo potrebbe essere il punto di svolta per la carriera del regista, che smorzando leggermente la deriva demenziale delle gag comiche è riuscito a tutelare la credibilità del contesto storico.
Uno degli elementi vincenti di “Green Book” è la sintonia tra i protagonisti, che impersonano due figure realmente esistite. Viggo Mortensen è il buttafuori italoamericano Tony Vallelonga, che dopo aver perso il lavoro si ritrova a fare l’autista per Don Shirley, un virtuoso del pianoforte afroamericano. Mahershala Ali, fresco di Oscar per “Moonlight”, spalleggia Mortensen in una delle coppie più esilaranti viste ultimamente. Il loro rapporto si fonda sul più classico assunto dei buddy movies: i due si trovano agli antipodi, sia fisicamente che dal punto di vista della personalità. Tony è rude, ignorante, violento; Don Shirley è elegante, colto, moderato. Uno è bianco, l’altro è nero. Entrambi si trovano in tournée per gli Stati del Sud, in un periodo storico in cui la segregazione razziale regna incontrastata. Ecco che entra in gioco il “libro verde” del titolo: una mappa dei luoghi che i neri possono frequentare senza ripercussione.
Uno degli elementi vincenti di “Green Book” di Peter Farrelly è la sintonia tra i protagonisti, interpretati da Viggo Mortensen e Tony Vallelonga.
Il viaggio in macchina è un fattore decisivo all’interno della narrazione. Peter Farrelly utilizza questo topos per chiudere nello stesso ambiente due personalità inadatte alla convivenza. Don Shirley tollera amaramente le chiacchiere di Tony, soprannominato non a caso “Lips”, che di contro impiega la maggior parte del suo tempo a fumare e mangiare alette di pollo. Viggo Mortensen ha preso più 20 chili per affrontare il ruolo, e ne è valsa la pena, considerando che si tratta di una tra le sue migliori interpretazioni. L’attore ha sfoggiato un intero campionario di stereotipi sugli italoamericani, dalle imprecazioni ai gesti con le mani, riuscendo a renderli realistici.
Tony è il classico uomo rozzo ma di buon cuore e tutto quello che fa o dice appare genuino. La fonte comica di “Green Book” è generata proprio da questa piacevole contraddizione. Mentre Don Shirley si fa strada tra ingiustizie e pregiudizi, lo protegge un Super Mario grasso che ama i cenoni di Natale. E va benissimo così, perché Farrelly ha trovato il modo di maneggiare un materiale delicato, controbilanciando con una buona iniezione di autoironia.
Perter Farrelly non possiede l’estro registico di Spike Lee, ma ha mostrato una sensibilità comica e drammatica davvero invidiabile con “Green Book¨.
Quello dei neri negli USA sembra essere il tema forte di questa edizione della Festa del Cinema di Roma, che conta tra i tanti titoli selezionati anche “Se la strada potesse parlare” di Barry Jenkins e “The Hate U Give” di George Tillman Jr. Tutto il mondo cinematografico, in particolare quello statunitense, ha visto un incremento di produzioni di questo genere, e non sarebbe insolito che lo spettatore cominciasse ad accusare un po’ di stanchezza. In questo contesto “Green Book” era quello che ci voleva. Il film dimostra, come ha fatto di recente anche “BlaKkKlansman”, che un tema può essere trattato all’infinito, se lo si fa con inventiva. Farrelly forse non possiede l’estro registico di Spike Lee, ma ha mostrato una sensibilità comica e drammatica davvero invidiabile.