Il primo trailer di “Macchine Mortali” è stato accompagnato da molta curiosità. Le immagini mostrano un futuro dispotico governato da gigantesche metropoli itineranti pronte a darsi battaglia e a inglobare altre città. Queste costruzioni di gusto steampunk vagano per terre desolate accompagnate dalla propria pesantezza metallica, mentre dall’altro lato di un’imponente muraglia fiorisce una civiltà rivale e sedentaria. Da una parte uno scenario arido e spietato, dall’altra un paesaggio quieto circondato da una natura rigogliosa. Ad una materia di base già di per sé stimolante si aggiunge lo zampino di Peter Jackson, coinvolto nel film in veste di produttore, sceneggiatore e macchinista di seconda unità. Dopo la bocciatura critica della trilogia de “Lo Hobbit”, il regista neozelandese sceglie ancora di puntare sul genere fantastico, questa volta però corredato da una computer grafica apparentemente più convincente.
“Macchine Mortali” è tratto dal romanzo di Philip Reeve, che ha già tre sequel e tre prequel.
Peter Jackson si è sempre dichiarato molto fiero del progetto ma di fatto la direzione è affidata ad un suo stretto collaboratore Christian Rivers. I due lavorano insieme dai tempi di “Splatters – Gli Schizzacervelli”, passando per “Il Signore degli Anelli” e “King Kong”. E ora Rivers si è fatto spazio per esordire alla regia. La sua opera prima “Macchine Mortali” è tratta dal romanzo omonimo di Philip Reeve, che fa parte di una saga letteraria composta già da tre sequel e tre prequel. Per scoprire se questa storia fantascientifica sarà longeva anche al cinema, toccherà aspettare il responso del botteghino. I primi commenti della critica non fanno presagire bene. Se il trailer del film, infatti, faceva sfoggio di un buon design e ottime potenzialità narrative, il risultato finale non riesce minimamente ad appagare le aspettative.
Ma partiamo dalla trama. Il pianeta terra è stato devastato da una grande guerra nucleare, capace di scatenare terribili cataclismi geologici. La conformazione del nuovo mondo è completamente differente da quella del ventunesimo secolo: il progresso tecnologico si è pressoché azzerato e le risorse alimentari scarseggiano. Per questo motivo la società ha sviluppato il così detto “darwinismo urbano”. Le città si sono trasformate in enormi veicoli finalizzati a cacciare altre città per sfruttarne le risorse. Londra è una delle città trazioniste più potenti, che mira a conquistare anche i rivali ideologici stazionisti. Se vi sembra che la narrazione sia già abbastanza stratificata preparatevi al peggio, perché il film riserva una miriade di altre sotto trame funzionali solo a costruire un’inutile densità. “Macchine Mortali” ha molto materiale per le mani, ma nella foga di raccontare ogni cosa finisce vittima della propria sovrabbondanza.
“Macchine Mortali” è un’opera con un grande potenziale, che tuttavia funziona solamente a livello di sinossi.
Un esempio lampante è fornito dal trattamento di uno dei tanti personaggi secondari. Shrike è un Uomo Rinato, una sottospecie di non-morto assemblato a partire da cadaveri di esseri malvagi, resi vitali grazie ad una tecnologia poco chiara. Lui è un personaggio completamente ininfluente ai fini della trama, ma il film gli riserva sempre più minuti accentuando le sfumature drammatiche della sua personalità. Mentre il regista indugia sul dramma, per altro poco efficace a livello di intensità, perde di vista il nucleo del film, ovvero le macchine mortali. Solamente nella sequenza di apertura vediamo Londra lanciare i suoi arpioni e divorare una piccola cittadina commerciale. Christian Rivers comincia così a pendere sensibilmente verso la facile strada del sentimentalismo, compromettendo definitivamente la credibilità del suo universo fantastico.
“Macchine Mortali” è un’opera con un grande potenziale, che tuttavia funziona solamente a livello di sinossi. Per quanto riguarda la resa cinematografica c’è veramente poco da salvare. Il romanzo originale avrebbe di certo meritato una messa in scena più approfondita, difficile da realizzare con il minutaggio limitato di un film. Questo è uno di quei casi in cui una serie TV avrebbe offerto una forma più adeguata alla vasta materia letteraria. In ogni caso il regista non fa nulla per esaltare le qualità della storia, che allontana l’ironia e non sfiora neanche lontanamente l’epica. La sua prima opera è di certo un passo falso. Un film che preferisce ingoiare una storia d’amore già masticata, condita con dialoghi banali e stucchevoli, piuttosto che indagare gli attributi del proprio universo fantastico.