Diamo il bevenuto su Music.it a Marco Giuradei dei Dunk! Sono davvero felice di averti sulle nostre pagine. Comincerei subito con una domanda vasta: che cos’è per te la musica?
È la mia vita. Ho sempre fatto questo lavoro da quando ho diciassette anni. Con mio fratello. Tutto quello che è successo nella mia vita è strettamente legato a lei. Le esperienze, tutto. È la mia compagna di viaggio.
Dal momento che ho la fortuna di intervistare te, che mai ti presti troppo ai media, vorrei scavare attraverso la tua lente quella che è l’esperienza di questo lavoro. Partiamo dai Dunk: cosa sono i Dunk?
I Dunk sono un progetto nato in modo spontaneo dall’incontro con Luca Ferrari (Verdena), ad un concerto con i Giuradei in quel di Bergamo. Era tra il pubblico e mi ha invitato a fare un provino per il tour di “Endkadenz”, a cui poi sono andato. Ho imparato quattro pezzi dei Beatles e uno dei Verdena. Alla fine hanno deciso per un altro musicista, però. Comunque siamo rimasti in contatto. Abbiamo fatto delle jam session con Luca ed Alberto. Una volta l’ho persino invitato a fare una suonata a casa mia. E quel giorno c’era anche mio fratello, a cui ho chiesto se gli andasse di integrarsi. In quest’occasione a Luca sono piaciuti i pezzi scritti da mio fratello, e a noi era piaciuta la dimensione che si era venuta a creare. Sai, era un po’ che non si suonava a quel modo. Quindi è venuto tutto fuori così, dall’entusiasmo.
Il progetto Dunk, insomma, è un progetto di cuore.
Sì! Per me ha significato ricominciare a suonare in modo importante. Con mio fratello eravamo fermi da due anni. Io nel frattempo ho fatto altre cose dal vivo, però non una cosa così sentita.
Capisco. A proposito di te da solo: qual è stato il tuo percorso artistico?
Sai, quando hai 17 anni la musica la prendi come una passione e non hai un’esigenza propriamente lavorativa. È nato tutto con mio fratello, con cui ho suonato e mi sono divertito davvero tanto. Io da solo studiavo. Ho fatto il mio percorso accademico. Non in conservatorio, ma con lezioni private e al liceo. Però, al di fuori di quel percorso, non avevo un progetto mio personale. E così ho cominciato a fare musica con mio fratello. Quelle prime esperienze insieme ci hanno formato inizialmente.
E poi?
Poi sai, il percorso della vita mi ha portato ad avere una compagna e dei bambini. E pian pianino, quella che era una passione, cominciava a prendermi tanto tempo. O diventava un lavoro o rimaneva un hobby. La musica l’ho presa sul serio. Ci ho creduto, ci ho provato. Ovviamente, è una lotta continuare a percorrere questa strada. Non è per niente facile. Basta che ti fermi un anno e devi reinventarti. Quando ci siamo fermati, io mi sono reinventato fonico. E tutt’ora per me questo è un grande appoggio per la ricerca sonora nei live.
Questo è molto interessante, alla luce del fatto che la proposta dei Dunk è nata proprio dai live. Cos’è successo con Riccardo Tesio, che vi affiancherà in questo Originale Tour d’autunno?
Anche qui tutto è nato nella spontaneità. Riccardo è venuto a vedere il primo live dei Dunk, quando appunto non eravamo ancora Dunk e avevamo suonato io, mio fratello e Luca. Era il compleanno della Latteria Molloy, nel 2017. Dopo, nei pre-concerti estivi che già facevamo con Carmelo, Riccardo veniva sempre a vederci quando eravamo in zona Torino-Cuneo. Stava in contatto con Carmelo e la prima volta che siamo tornati in zona durante il tour, gli abbiamo chiesto se gli andava di fare un pezzo insieme. Perché devi sapere che noi abbiamo un pezzo totalmente psichedelico improvvisato nel concerto.
Parli di “Intermezzo”, non è così?
Esatto. In studio è nato come un intermezzo. Poi ne abbiamo preso un piccolo pezzo e dal vivo lo usiamo come flusso di coscienza. Riccardo ha fatto con noi un paio di live. Quando abbiamo suonato all’Artico Festival gli abbiamo proposto di fare anche un altro brano. Ci siamo trovati molto bene. Lui è un grandissimo artista e quindi abbiamo deciso di rilanciare con questa coda di tour. Lo abbiamo invitato per dare arricchimenti agli arrangiamenti e per fare dei concerti con quel gusto in più. Perché comunque ci teniamo a dare un senso anche a questo piccolo tour. Di fondo, c’è una professionalità e una grande voglia di fare sempre qualcosa di nuovo. Viene tutto un da lì. Anche nelle registrazioni ci siamo trovati benissimo. E adesso faremo le prove .
Mi stai confermando che i Dunk sono nati per andare a suonare. E allora ti chiedo: quanto c’è d’improvvisazione nella vostra amalgama?
Quando ti ritrovi in quattro musicisti che di fondo hanno una grande capacità d’ascolto l’uno con gli altri, dopo tante improvvisazioni, naturalmente focalizzi quelli che sono gli spunti. Però, ogni volta è diverso. È un affiatamento quello che riesci ad avere con gli altri musicisti. È una questione di pelle, di simbiosi. Infatti esce benissimo quando siamo completamente connessi tra di noi in modo autentico. Ed è una magia.
Quanto conta il pubblico nella creazione di questo miracolo per te?
Il pubblico, per quanto mi riguarda, è sempre importante per la conferma della sensazione che hai sul palco. Io quando faccio i concerti coi Dunk sento sempre che stiamo facendo qualcosa di bellissimo, di puro, di sentito. E quando il pubblico risponde con applausi o è caldo, come quello al Monk di Roma, è un arricchimento al sentimento che stai provando. Si crea una magia speciale. E devo dire che il tour precedente è andato tutto bene.
Vista la spontaneità della formazione che caratterizza i Dunk, vorrei sapere qual è il rapporto tra quello che accade nel concreto e quelli che invece erano i piani iniziali. Continuate a sorprendervi?
L’idea di fare ancora un piccolo tour autunnale era prevedibile, anche se non l’avevamo deciso. E dopo sicuramente ci dovremo prendere una pausa. Perché Carmelo esce con un lavoro da solista e Luca sta lavorando al disco nuovo dei Verdena.
E i Giuradei?
Per i Giuradei non ci sono piani (ride). Il bello di questo nuovo equilibrio di vita è che comunque, d’ora in poi, si fanno solo cose veramente sentite. A partire dai Dunk. Ma anche il punk è nato così. Le cose si fanno se c’è una motivazione artistica importante. Non deve essere una motivazione strettamente lavorativa, altrimenti ci si logora e basta.
A livello d’ispirazione, cosa ci metti di tuo oltre al cuore?
Con i Dunk è un lavoro completamente di gruppo. Mio fratello ha scritto le canzoni. Lo scheletro è il suo e della sua chitarra. Ce le ha fatte sentire, ci piacevano, e le abbiamo arrangiate istintivamente con molto rispetto l’uno dell’altro. Proposte di cambiamento della struttura sono sempre venute un po’ da tutti. Abbiamo sempre trovato rapidamente una forma alle canzoni. Il mio contributo è quello di membro della band, alla pari degli altri, rispetto alle canzoni di Ettore.
Infatti non c’è nulla nei vostri pezzi che suoni troppo alla qualcosa o alla qualcos’altro. E questo è un punto di grande forza, dal momento che tutti voi membri siete forti ciascuno di una propria identità.
Ma sai, anche io la penso così. Solo che io faccio le cose dall’interno ed è da qui che le vivo. Mi fa davvero piacere sentire che c’è qualcuno che la pensa così. L’idea è proprio quella comunque: di fare qualcosa che in Italia oggi non c’è.
Torniamo al fatto che hai una famiglia e a quanto sia difficile equilibrare la vita. Ti chiedo cosa sia cambiato rispetto all’inizio. Cosa ha apportato la famiglia nella tua vita di musicista?
Guarda, avere una famiglia mi ha paradossalmente aiutato ad ottimizzare i tempi. Dal momento che sono una persona molto pigra, ho imparato ad avere un approccio a una ricerca più rapida dei suoni. Sul discorso musicale rispetto agli inizi, fare un progetto con musicisti come Luca Ferrari, Carmelo Pipitone e adesso anche Riccardo Tesio, è una cosa che ti cambia. Queste cose ti aprono la testa. Loro hanno molta più esperienza di me, quindi è tutto un continuo mutamento. Provare le cose nuove, dare un tempo diverso alla ricerca degli ascolti, anche quelli in casa. È una continua ricerca ed è quello che deve essere.
Domanda di rito: il concerto a cui Marco Giuradei non può rinunciare.
Guarda, l’ultimo concerto a cui sono stato è quello di Steven Wilson, cantante dei Porcupine Tree. Ha fatto un concerto al Vittoriale, un anfiteatro sul Lago Di Garda. Un concerto stupendo! Se dovesse tornare nelle vicinanze andrei a rivederlo. Poi ultimamente non ho visto granché in giro. Ma ti dirò, suonando e avendo una famiglia, appunto, si fatica un po’ da quel lato a stare al passo. Di italiano che ho visto in giro quest’estate suonando, e che m’è piaciuto, c’è stato Colapesce.
Di questa scena di neo-cantautorato italiano cosa pensi?
Beh, c’è per me un provincialismo molto limitante in italia, quindi non è che mi entusiasma molto il mondo della musica in Italia. Però, ci sono molte cose interessanti. Sicuramente si stanno aprendo diverse prospettive.
E i tuoi figli, invece, cosa ascoltano? Immagino che siano particolarmente esposti alla musica.
Diciamo che senza sforzarsi troppo vivono situazioni di festival. Ma anche registrando a casa, spesso ci sono persone dalla sensibilità musicale con cui comunque loro vengono a contatto. Il maggiore ascolta abitualmente musica e va a lezione di batteria. Ora è fissato con The Prodigy e Caparezza. Pensa te. Io dalla mia parte, ogni tanto gli faccio ascoltare qualcosa. Però poi naturalmente sceglie lui.
Già che ci siamo: cosa faresti ascoltare tu a qualsiasi adolescente per dare un imprinting e una direzione?
Io vado a periodi. Adesso mi viene in mente l’ultimo di David Bowie, come disco stupendo che ho scoperto e che consiglierei. Il singolo “Lazarus” è una perla di scrittura, di produzione, di sonorità. Se uno deve dire come deve suonare un pezzo oggi gli direi “ascoltati questo e dimmi se riesci a fare qualcosa del genere”.
Invece gli artisti che hanno accompagnato il te adolescente?
In adolescenza ho ascoltato tanta musica italiana. Ho consumato tutti i dischi di Paolo Conte e assieme a Conte, nei cd che mi portavo nello zaino c’erano i Punkreas. Dal raffinato al grezzo. Poi, per restare nel punk, anche The Offrsping, Green Day, Red Hot Chili Peppers. Tutti accostati a Paolo Conte. Oggi però non trovo più interessante il mondo della canzone d’autore. Mi piace di più roba un po’ più spinta, di produzioni anche commerciali. Tipo Rihanna, Coldplay. Mi piace andare anche su quegli ascolti lì. Carmelo mi bacchetta sempre per i miei ascolti perché vado sempre un po’ a caso. Lui e Luca hanno un ascolto più mirato. Io mi lascio trasportare dalla sensazione. A me piacciono le cose anche più moderne.
Ultima domanda. Com’è lavorare con tuo fratello? Chi ha di solito l’ultima parola?
Diciamo che viene riconosciuto il fatto che lui è l’autore della canzone. Quindi, se vogliamo dire chi ha l’ultima parola, ci sarebbe da dire che ce l’ha mio fratello. Però, c’è un costante confronto fino alla chiusura del lavoro. E questo è il modo migliore per lavorare. Un rapporto alla pari.
Siamo arrivati alla fine. Io ti ringrazio e lascio a te le ultime battute.
Ciao a tutti i lettori di Music.it! Continuate ad ascoltare e a vivere la musica!