«Oh God, what is life! How can someone so talented die so young?». Era il 2015 e gli autori della serie animata “Rick and Morty” decidevano di rendere omaggio alla musica di Elliott Smith, cantautore americano morto il 21 Ottobre del 1993. Aveva 34 anni, cinque album alle spalle, un talento impressionante e un ostinato lato oscuro che mai lo ha abbandonato. Il quel periodo stava lavorando al suo sesto ed ultimo album “From a Basement to the Hill”, uscito postumo nel 2004. Viveva a Los Angeles, in un appartamento a Echo Park che condivideva con la ragazza dell’epoca, Jennifer Chiba.
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Quella mattina di sedici anni fa, pare che i due abbiano discusso, che lei si sia chiusa in bagno, si sia fatta una doccia e che poi lo abbia sentito gridare. Aperta la porta, Elliott Smith era in piedi con un coltello infilzato nello stomaco. Morì poco dopo, nell’ospedale di Los Angeles alle 13.36 del pomeriggio. L’autopsia non ha mai confermato la tesi di Jennifer Chiba. Non è mai stato chiarito se le due coltellate nel petto, Elliott Smith se le fosse procurate da solo. In molti, pensano di sì.
Elliott Smith era depresso, beveva molto e stando al film documentario “Heaven Adores You” girato e prodotto da Nickolas Rossi, «It was uneasy to be his friend when he was not well. It was uneasy when he was in New York, but it get harder when he moved to L.A.». Che Elliott Smith non fosse particolarmente allegro e persona beatamente socievole è chiaro a chiunque lo abbia conosciuto. Persino a chi ne conosce solamente la musica. Come me, che una notte di qualche anno fa ho sognato il suo viso e avvertito quanta vita ne solcasse i lineamenti.
Elliott Smith morì il 21 Ottobre del 1993. Aveva 34 anni, un talento impressionante e un ostinato lato oscuro che mai lo ha abbandonato
All’anagrafe Steven Paul Smith, da bambino Elliott aveva in capelli lunghi e biondi. Era nato in Nebraska il 6 Agosto del 1969. Cresciuto in Texas, ha vissuto gran parte della sua vita a Portland, in Oregon. Si trasferisce quando ha 14 anni, quando decide di andare a vivere dal padre, di non subire più violenze dal patrigno, di seguire la sua attitudine punk e conoscere l’altrove procurato dalle sostanze stupefacenti e anche dall’alcol. Imparò a suonare chitarra, aveva studiato il il pianoforte, ma imparò anche l’armonica, il clarinetto, il basso e la batteria.
Nel frattempo, i suoi capelli cambiavano colore. Blu, verdi, gialli, corti, lunghi, di nuovo neri e poi arancioni. Nel ’91 si laurea in filosofia e scienze politiche all’ Hampshire College in Massachusetts e comincia a farsi chiamare Elliott. Sono questi gli anni in cui fonda la punk rock band Heatmiser assieme al suo compagno di classe ed amico Neil Gust. Assieme al batterista Tony Lash ed il bassista Brandt Peterson, gli Heatmiser rilasciano tre album e un EP, suonando e facendosi conoscere per Portland.
Elliott però scriveva la sua musica e nel 1994, ancora membro della band, rilascia il suo primo disco, “Roman Candle”, un set di 8 tracce acustiche che ha dato il via alla sua carriera solista. Nonostante in quegli anni fosse il grunge ad essere in voga, “Roman Candle” ebbe un discreto successo e fu ben accolto a livello locale. Uno dei suoi commenti a proposito dell’album fu che non poteva crederci.
«The thing is that album was really well received, which was a total shock, and it immediately eclipsed Heatmiser, unfortunately»
Il successo su scala nazionale arrivò nel 1998 grazie al brano “Miss Misery” che chiude il film di Gus Van Sant “Good Will Hunting” e che fu nominata agli Academy Awards. Quella degli Oscar, fu per Elliott la prima esibizione di un certo spessore. Si presentò con un vestito bianco ed i capelli sporchi. Suonò, emozionò il pubblico e perse la statuetta che andò invece alla già celeberrima “My Heart Will Go On” di Celine Dion.
Da qui in poi, Elliott Smith conobbe il successo, l’attenzione dei media, ed entrò seriamente in depressione. Cambiò residenza, si trasferì a New York City, poi a Los Angeles. Nel frattempo, ha continuato a comporre, esibirsi, ad entrare ed uscire dai rehab, forse a cercare un po’ di pace. “Elliott Smith”, “Either/Or”, “XO”, “Figure 8” e i postumi “From Basement to a Hill” e l’ EP “New Moon” sono dischi che resteranno nella storia della musica.
Perché per quanto complicata, ignorata o addirittura svenduta, è questa la strada che Elliott Smith ha percorso, aggiungendovi un sentiero tutto suo, ispirando molte persone ad attraversarla. Elliott Smith non è mai stato un performer. Piuttosto, era un cantautore autentico, capace di evocare l’intera gamma dello spettro emozionale umano. La sua eredità è immensa, più vasta di quanto non si sappia ancora. Che sia benedetta, allora, quella stanza in cui Elliott Smith iniziò a fotografare il mondo attraverso le sue magiche corde. Riposa in Pace, Elliott Smith.