Insolitamente lungo e macchinoso il titolo del nuovo album dei Pentothal. Un vero e proprio incubo per i fan e gli addetti ai lavori, che si troveranno alla mercé dello scioglilingua più famoso: “Sopra la panca la capra campa… Sotto la panca la capra crepa”.
Però già il titolo e il coraggio di adottarlo, rappresenta una vittoria per il trio del frusinate, che arriva al suo terzo lavoro con consapevolezza ed estro. Sette brani colorati e allegri, ricchi di contaminazione e sperimentazione. I Pentothal decidono di non lasciare spazio a facili categorizzazioni di genere, seguendo un filone che parte da una base blues/rock e attraversa generi e tempo.
L’album in poche parole
Si parte dalla title track che apre l’album in una chiave rock di fine anni ’80, minimale e d’impatto. Seguono “In arte Giumenta” dai toni più funk e frizzanti e “Grilli per la testa” che richiamano i classici midi da sala giochi anni ’80. Tutto l’album procede con questo piglio, snodandosi tra i generi ma seguendo un unico filo rosso che rende riconoscibile l’impronta del gruppo.
“Sulla testa”, quarto brano dell’album, riprende il moderno filone indie, fatto di sintetizzatori e ritmi più ballabili. “Puttana Eva” è una delle sorprese dell’album. Un surf folk del futuro. Non vuol dire nulla, ma immaginate un tipo da spiaggia che suona l’ukulele, con una base quasi hawaiana, guardando il tramonto dopo aver fatto surf sull’oceano… Il tutto sulla luna
Come non chiudere un album del genere con un pezzo più rock e uno reggae? Si tratta infatti di “Domenica di Ferragosto” e “Il Falò”. Insomma, un’album dalle fattezze astratte, che però comunica lo stesso senso di disagio e spensieratezza allo stesso tempo. Sotto un punto di vista prettamente tecnico, è chiaro come i Pentothal non prediligono alcuno strumento in particolare, ma tutti quelli utilizzati vengono suonati con lo stesso piglio giocoso e allo stesso tempo professionale.
A volte è questione di gusti
La voce non è mai pulita, ma costantemente distorta dal taglio delle frequenze, che creano un effetto “megafono”. Peccato per il missaggio che tende a mischiare troppo le carte in tavola. Spesso infatti la sezione cantata si confonde o viene totalmente inglobata dalla sezione ritmica degli strumenti, creando un caos non necessario ai fini del lavoro.
Al di là di questa nota negativa che può essere un punto debole come di forza, a discrezione dell’ascoltatore, l’album si lascia ascoltare in maniera più che piacevole. Poco più di 20 minuti di spensieratezza che non richiedeno particolare impegno, a meno che non si abbia l’ardire di voler analizzare i testi mistici della band e, capire se dietro quelle parole si nasconde davvero un significato più profondo. Ma insomma, sta all’ascoltatore valutare se effettivamente le parole dei Pentothal possano assumere significato o meno.