Project-TO è il nome di un collettivo di Torino ideato da Riccardo Mazza, che oggi è con noi per questa intervista, e Laura Pol. Ciao Marco, ti do il benvenuto sulle pagine di Music.it! Vista la portata colta e letteralmente poetica del vostro album, comincerei col domandarti che cos’è per voi la Musica.
Intanto vi ringraziamo per la calorosa accoglienza e per averci coinvolti nella vostra prestigiosa piattaforma. Risponderei che per noi la musica è prima di tutto un linguaggio. Cioè un insieme di componenti anche diverse tra loro, come rumori, note oppure fotografie e video che cerchiamo di costruire secondo una semantica che è quella del racconto. La grammatica di questo linguaggio in realtà è piuttosto libera trattandosi di un insieme di elementi differenti a volte anche non omogenei, ma facciamo molta attenzione alla sintassi. Ovvero a rendere in qualche modo sempre comprensibile a chi ci ascolta e a chi ci vede in live, il risultato finale.
Puoi raccontarci un aneddoto legato alle vostre performance che non hai mai raccontato a nessuno?
Ne avrei più di uno, ma forse quella volta in cui fummo ingaggiati durante il Salone del Mobile a Milano da un noto marchio di design. Ci vollero a tutto volume per il loro opening party. Ci allestirono all’interno di un appartamento in zona Brera un set con un impianto audio mostruoso e poi spalancarono le finestre per farci suonare come fecero The Beatles sul tetto della Apple nel ’69. Era anche notte bianca e non riuscivamo quasi a vedere la fine della via tanta era la gente. I milanesi fanno le cose in grande. Peccato che noi non eravamo The Beatles e Milano non è New York, per cui dopo 20 minuti arrivarono i vigili a staccarci tutto!
Vi definite collettivo. Ti va di raccontarci com’è nata l’idea di questo progetto musicale e il perché di questa etichetta?
La nostra è una sperimentazione in collettivo in quanto la musica elettronica diventa base aggregante di arti che convergono in un’unica esperienza immersiva: un incrocio/incontro di ispirazioni artistiche che rispetta l’individualità di ogni linguaggio espressivo. Nel nostro caso appunto suono, fotografia e video. Quando ci siamo incontrati io arrivavo dalla sperimentazione sonora mentre Laura aveva grande esperienza nelle video installazioni museali e nelle mostre d’arte. Il nostro lavoro corre sempre in parallelo ed entrambi abbiamo la possibilità di esprimere liberamente la nostra creatività, ognuno con il proprio linguaggio. Il risultato di questa contaminazione artistica, dalla quale traiamo continuamente ispirazione, diventa un’opera autonoma che trova la sua espressione più compiuta durante il live dove la parte visual viene generata e modificata da Laura in tempo reale, così come io genero sul momento tutte le sonorità con i sintetizzatori.
Torino è una città decisamente produttiva a livello artistico. Mi domando se esista una contaminazione urbana che sia prettamente torinese nel vostro fare musica.
Torino è una città che ha una lunga tradizione di innovazione e sperimentazione, qui sono nate in Italia la fotografia, la televisione e le avanguardie. Torino ha inoltre una vocazione per le arti contemporanee e un respiro culturale di stampo europeo. È una città molto bella, ricca di storia e tradizione, ma che è stata anche teatro di battaglie sociali e che ha sofferto più di altri centri urbani della crisi industriale. Un crocevia di esperienze e culture diverse, nonostante l’apparente chiusura è una città di sostanza. Noi volevamo dare l’idea di un progetto in divenire che avesse anche un collegamento forte con le nostre radici e il nostro territorio. Così il gioco di parole tra la parola progetto e la sigla TO. In inglese suona come project to, cioè un progetto verso qualcosa. Se lo si legge all’italiana diventa progetto. Noi amiamo pronunciare Project-TO come proget-to in onore di Torino.
Quali sono i vostri percorsi musicali di formazione individuali e dove hanno trovato il punto d’incontro che ha dato vita ai Project-TO?
Nel nostro caso io sono sempre stato uno sperimentatore prima che un musicista in senso tradizionale, e questa inclinazione ha sempre portato il mio lavoro negli ambiti più diversi spesso lontano dalle logiche della discografia. Per questo ho anche pubblicato una raccolta monografica antologica di 9 CD con i miei lavori di musica sperimentale dal 2000 al 2015. Laura invece arriva dalla fotografia e sta costruendo un suo personale percorso visual. Non vi è stata quindi una valutazione a priori su quali potessero essere i contesti migliori in cui esprimerci. Piuttosto crediamo che il progetto stia funzionando così bene proprio perché coinvolge più piani sensoriali.
I vostri sono e sono stati finora dei concept album. Il fatto di scegliere il numero 6 come limite al confezionamento del prodotto è casuale, simbolico, mirato? Insomma, perché proprio 6 brani?
È un numero che funziona bene proprio per mantenere il giusto equilibrio tra durata e sviluppo. I nostri album sono dei concept album pubblicati su vinile, che ha una durata limitata. Tre è il numero perfetto per un lato del disco, per cui sui due lati abbiamo sei brani. Inoltre essendo noi artisti sempre un po’ esoterici, il tre numero perfetto… per tre dischi diventava 666, il numero del diavolo…
Parliamo di “Iro”, il vostro nuovo album. Uscito il 9 novembre, è il primo in cui figura la presenza dell’elemento vocalico. Perché la scelta della tipica forma poetica giapponese haiku per raccontarlo? Il fatto che la sintesi veda in gioco anche la voce c’entra qualcosa?
L’essenzialità pura di questi poemi, con i rovesciamenti semantici che permettono un salto dell’immaginazione tra idee e immagini apparentemente distanti, è stata la nostra ispirazione. Anche “Iro” significa colore. È un omaggio a questa cultura che ci affascina molto per la sua radicalità verso la propria tradizione ed al suo slancio verso il pop e la contemporaneità. Ne “L’impero dei segni”, Roland Barthes scrisse che l’haiku è un evento breve che trova tutt’a un tratto la sua forma esatta, mantenendo la purezza, la sfericità e il vuoto stesso d’una nota musicale. Ogni traccia del disco è dedicata ad un haiku differente dove il tema delle stagioni è caratterizzato da almeno una parola che le rappresenta e dalla quale parte una ricerca sulla musicalità del verso. Anche i video sono ispirati alla cultura giapponese e cercano di tradurre in immagine l’emozione ed il significato dell’haiku che viene cantato.
A proposito dell’album. Ho tentato spartanamente di tradurre ciascuno dei sei titoli. A qualcosa sono arrivata, ma potreste svelarceli voi e dirci se, tutti insieme, formano un unico haiku?
Volentieri. Si tratta di sei componimenti distinti ispirati alle 4 stagioni composti da autori giapponesi differenti nati tra il XVI e il XVII secolo. I titoli sono il primo verso di ognuno dei sei haiku che abbiamo scelto. Eccoli nell’ordine in cui si trovano nel disco tradotti in italiano:
“Sumire Odo” – Poter Rinascere!
“Haru No Umi” – Il mare a primavera
“Sakura Chiru” – Cadono i fiori di ciliegio
“Inazuma Ya” – In cielo un lampo
“No Mo Yama Mo” – I campi e i monti
“Jaku To Shite” – Quiete
I primi tre haiku sono dedicati alla primavera, il quarto all’autunno, il quinto all’inverno con un’immagine potente di un paesaggio sotto la neve e l’ultimo all’estate, che è la nostra stagione preferita. Con quel brano si chiude “Iro” ed il live.
Puoi raccontarci come viene impiantata e decisa una performance live e quanto cambia, a livello d’impatto, rispetto alla fruizione privata del disco?
Project-TO nasce prima di tutto come progetto live, ed è quindi il momento per noi più importante dove condividiamo e presentiamo il nostro lavoro. I nostri live diventano performance artistiche declinabili in luoghi non convenzionali come musei e gallerie d’arte, dove lo spazio viene trasformato dagli elementi visivi e il suono generato analogicamente dal vivo. Questo aspetto permette di poterci esprimere in modo diretto a contatto con il pubblico e con l’ambiente generando così esperienze sempre diverse e mai ripetibili. Ciò fa parte del nostro rapporto col pubblico e volevamo recuperare quell’emozione da condividere con chi ci viene a vedere. Il rapporto che abbiamo con i social, incluse le dirette streaming, è quindi per noi funzionale solo se serve a connetterci con chi poi ci segue in un’esperienza dal vivo.
Qual è il concerto che non potete perdere di artisti/e che vi appassionano nel panorama contemporaneo?
Ci piace molto l’elettronica sperimentale, ma sempre comunque decifrabile. Un’etichetta che seguiamo con passione è la Raster che con artisti come Alva Noto, atom™, emptyset e altri fa della sperimentazione una ricerca sempre attuale e interessante. A Torino inoltre abbiamo moltissimi festival di musica elettronica tra cui Club 2 Club, un festival diventato ormai tra i top 5 in Europa. Quest’anno viene Aphex Twin quindi direi che questo forse è il concerto assolutamente da non perdere!
Cosa prevede il futuro dei Project-TO?
Il progetto è in evoluzione continua e cominciamo davvero a dover gestire un numero sempre più crescente di produzioni ed eventi live. Abbiamo avuto occasione ultimamente di cimentarci in produzioni parallele che spaziano dalla sonorizzazioni di film muti come il recente lavoro sul cinema d’avanguardia che abbiamo presentato al Museo del Cinema, nell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana lo scorso 13 ottobre, oppure “Club 27”, produzione di musica elettronica, visual e graphic novel sulla parabola degli artisti morti a 27 anni prodotta dal Seeyousound International Music Film Festival. Insomma direi che viviamo intensamente la giornata! Sulla nostra pagina Facebook e sul nostro sito potete rimanere sempre aggiornati sulle nostre date.
Abbiamo finito. Ci regalate un haiku da conservare nei nostri archivi?
Vista la stagione in cui siamo, scegliamo l’haiku sull’autunno che è di Matsuo Bashō.
Inazuma ya
Yami no kata yuku
Goi no koeIn cielo un lampo.
Nel buio della notte
Stridere degli aironi in volo