Benvenuto nelle nostre pagine Red Sprecacenere. Non ci piacciono le formalità, quindi iniziamo la nostra intervista con un aneddoto legato alla musica che ti è particolarmente caro.
In passato ho suonato con le orchestre che si esibiscono nelle piazze alle feste di paese. Ero il tastierista, arrangiatore e corista della band e avevo 19 anni. Una sera, non ricordo il posto specifico, c’era Gigi Sabani e quindi avremmo ad un certo punto lasciato a lui lo spazio. Ma il tastierista che l’accompagnava non era riuscito ad arrivare in tempo. Così chiese alla band chi fosse il tastierista e indicarono me. Mi guardò spaurito perché aveva intuito, guardandomi, che ero un po’ troppo giovane per conoscere il suo repertorio. Ma si avvicinò dicendomi «Ciao, io sono Gigi e siccome non c’è il mio tastierista, volevo sapere se tu potessi darmi una mano». Non ci credeva neanche lui ma era l’unica opzione disponibile. Io da tranquillo ingenuo dissi: «Certo, assolutamente». Arrivò il momento dello spettacolo e io, intimidito salii sul palco prima di lui.
Posso solo immaginare l’ansia da prestazione. Come è andata?
Alla prima canzone, “Una carezza in un pugno” di Adriano Celentano, lui iniziò a cantare, convinto che sarebbe stato solo con la sua voce. Quando ho iniziato invece ad accompagnarlo, mi fece un sorriso. Poi iniziarono ad arrivare canzoni di Edoardo Vianello e Julio Iglesias e lui sempre più preoccupato. Ma feci l’accompagnamento di tutte senza errori e lui aveva gli occhi sbarrati come a dire «Ma davvero le conosci?». Si tranquillizzò, finimmo lo spettacolo, sembrava suonassimo insieme da anni! Quando è sceso dal palco, la prima cosa che ha fatto è stata venire da me e dirmi: «Wow, complimenti veramente, avevo paura che per la maggior parte delle canzoni avrei dovuto cantare da solo e invece le conoscevi tutte! Veramente grazie, non me lo aspettavo assolutamente!». È stato divertente ed emozionante. Peccato non sia più con noi.
La tua passione per la musica è nata quando eri ancora un bambino. Ti ricordi il momento in cui hai capito che sarebbe stato anche il tuo futuro?
Nella musica ci sono nato, con mio papà che è DJ e speaker. Ricordo quando ho suonato le prime note sulla pianola Bontempi marrone e bianca che mi regalò mio zio. E da lì la passione per la musica non si è mai fermata. Ho iniziato a suonare in piccolissimi eventi della mia zona e, sempre con il mio padre, abbiamo iniziato a provare un repertorio per delle serate di pianobar. Io ero quello vocalmente meno bravo, ma ce la mettevo tutta. Poco a poco mi sono reso conto che quello era ciò che mi piaceva fare. Provare le canzoni, montare la mia attrezzatura, accendere l’impianto e cantare le prime note al microfono e il primo accordo sulle tastiere. Credo che la vera scintilla non c’è mai stata, è più stata un’evoluzione. Tutte quelle piccole cose hanno alimentato ogni volta di più la voglia di fare musica.
Delle tue canzoni componi sia musica che testi. Ma cosa nasce prima? Segui uno schema o è più un flusso di coscienza?
Non tutte le mie canzoni ho scritto da solo. In alcune, specialmente in passato, ho avuto bisogno di un aiuto per i testi. Poi poco a poco ho pensato di scriverli da me, pensando di voler raccontare a modo mio ciò che per me è più importante. In generale, comunque, nella maggior parte dei casi arriva prima la musica mentre le parole arrivano solo dopo quel ritmo, quella metrica e quelle note. Quelle volte che c’è qualcuno ad aiutarmi, alla fine mi odia, perché voglio che ogni parola, ogni nota, ogni sfumatura sia in un certo modo e comunque le parole non devono suonare forzate. Per me una canzone che si possa chiamare tale è fatta delle due cose insieme. Se ci si focalizza sulla musica, meglio fare roba strumentale, mentre se ci si focalizza sul testo, meglio scegliere la poesia.
Non esiste l’una senza l’altra, no?
Esatto! È la stessa cosa del parlare: abbiamo un suono, un’espressione, a seconda di ciò che vogliamo dire. Non diremmo mai, usando un tono di voce triste, che siamo andati al luna park e ci siamo divertiti un sacco. Né con tono allegro e veloce diremmo «ieri è morta mia nonna, ieri è morta mia nonna!». Mi sembra alquanto semplice come concetto, ma noto che molti pensano a queste cose in modo separato e io non riesco a capire il loro metodo. Poi, a dire il vero, molte delle mie canzoni vengono dai miei sogni. Appena ce l’ho in mente cerco di svegliarmi nel bel mezzo della notte e provo a registrare tutto ciò che mi ricordo. È esattamente quello che è accaduto per la mia “Mente l’anima”.
Oltre ad essere polistrumentista hai scritto canzoni in diverse lingue. Perché questa scelta?
Sono uno a cui piace utilizzare tutto quello che ha a disposizione. Se trovo qualcosa davanti a me oppure ho qualcosa nella mia conoscenza, devo usarla, altrimenti che ce l’ho a fare? Le lingue hanno tutte un suono diverso e ognuna di loro ha una particolare forza o debolezza. L’italiano è una lingua ferma ma romantica e suona già di suo. Di contro, ha un carattere molto poco malleabile. L’inglese, invece, è molto più ritmico, anche se molte parole si possono confondere tra di loro e quindi bisogna essere molto più attenti nello scrivere il testo. Lo spagnolo invece ha quel suono più dolce e sensuale, ma senza perdere quella sinuosità tra le parole e anche se si scalda non diventa mai così cattivo. Poi c’è da dire che mia moglie è messicana e lo spagnolo a casa lo usiamo tutti i giorni.
Hai un canale YouTube molto seguito. Come cambia il rapporto con il pubblico?
Internet ha cambiato totalmente il rapporto tra artisti e pubblico. Ormai siamo tutti più vicini e, come tutte le cose, ci sono sempre pro e contro. Prima era impensabile poter scrivere e parlare in maniera diretta con un artista. Oggi bisogna essere sempre presenti con il pubblico. È un ulteriore lavoro e se un artista non risponde al pubblico subito, le persone tendono ad andare via o a rimanerci male. Allo stesso tempo il lato positivo è avere il feedback immediato, si sente subito il loro calore leggendo un loro commento su una tua canzone che hanno appena scoperto. Poi, certo, bisogna prendersi anche la parte negativa: ci sono gli haters! Se ci sono significa che stai facendo un buon lavoro, che le persone ti conoscono sempre di più. Bisogna accettare il bello e il brutto e magari provare a sfruttare il commento negativo per crescere, musicalmente e personalmente.
YouTube ha rappresentato per molti artisti, anche internazionali, il trampolino di lancio. Credi che YouTube possa prendere il posto dei talent show?
Assolutamente. Anzi, secondo il mio punto di vista è anche meglio! Non ci sono solo quattro giudici, ma un pubblico che poco a poco cresce e ti conosce sempre di più e ti apprezza per quello che sei, e non per l’inquadramento deciso dalla TV. Soprattutto, la connessione con le persone, come dicevo anche prima, è sempre presente e sempre più forte. Da sempre sono le persone a fare di te quello che sei, i fan, i sostenitori, i follower, chiamateli come volete, ma sono quelle le persone importanti. Certo, chiaramente il talent ha la forza dell’immediato, della crescita rapida, ma non sempre è un lato positivo. Così veloce arrivano gli artisti, così veloci vanno via. YouTube invece è casa tua: porti il pubblico dentro il tuo studio o a cena con te. Le persone amano essere vicini ai loro artisti preferiti ed essere partecipi della loro crescita.
Potremo vederti presto live?
Lo spero! Su internet il lavoro si è fatto più duro: l’artista deve fare tante più cose e bisogna andare anche più veloci, e non sempre c’è la possibilità di organizzare concerti con tutte le necessità che comportano. Sto cercando di organizzare dei live su internet, così da poter stare insieme alla gente, mentre loro sono con le patatine e in pigiama sul loro comodo divano a casa senza neanche avere la necessità di pettinarsi. Magari ti invito appena sono al Madison Square Garden (sorride).
Red Sprecacenere, ci piace concludere le nostre interviste con uno spazio interamente dedicato ai pensieri dell’artista. Lasciaci uno dei tuoi!
Se c’è una cosa che amo condividere con le persone e che mi piace trasmettere ogni santa volta, è proprio il fatto di essere liberi, di poter prendere le decisioni della propria vita da soli. Il mio motto è : «Fai quello che non puoi fare!». E quando qualcuno mi dice che non lo posso fare, lo faccio di proposito e lo dimostro a tutti. Decidete per voi stessi, ma rispettate sempre gli altri. Non fate mai decidere agli altri cosa dovete fare! E capisco che prendere le proprie decisioni da soli sia una cosa complicata, una grande responsabilità, ma è altrettanto soddisfacente averlo deciso e arrivare al risultato desiderato. Male che vada ci abbiamo provato senza il dubbio o il rimpianto. La vita è una sola.