Eccoci tornati cari lettori per parlare con voi di una creatura mistica che abita le nostre città. Infatti oggi siamo sulle tracce del songrider. C’è chi dice di averlo visto nella notte in un flash di luci, chi ancora ci ha riportato le classiche foto dove appare prima dei disastri. Ma vi starete chiedendo «che razza di creatura è un songrider?»; ebbene la più terrificante delle creature. Un ibrido tra un signore delle due ruote e un cantautore, insomma, il tuo peggiore incubo. Ma ecco la svolta, tenetevi forti, il songrider è scomparso! A darci la notizia della sparizione è proprio il primo sospettato Simon Le Buch, in pieno stile Peter Parker. Con un album che parla chiaro, “Che fine ha fatto el songrider”, l’artista ha deciso di rompere il silenzio e raccontarci la sua storia.
Simon Le Buch si leva la maschera e apre le porte del suo passato. Ce lo versa in pieno stile songrider, una manciata di dosi di sertalina alla volta. Una storia sincera, tra dubbi e certezze, raccontata attraverso la musica. “Che fine ha fatto el songrider” è un disco per tutti coloro che si sono sentiti cambiati almeno una volta. Una scissione psicologica tra il me attuale ed il me del passato, che apre lo spazio per comprendere il futuro più prossimo. Simon Le Buch ci insegna qualcosa di importante: non importa quale maschera preferisci indossare, col tempo si finisce necessariamente per cambiarla. E magari un pomeriggio, chiedendoti se sei più rider o più songwriter, ti accorgi di essere diventato qualcosa di completamente nuovo.
“Che fine ha fatto el songrider”? Una storia di cambiamento, Simon Le Buch ci annuncia la sparizione del suo alter ego
Ma parliamo un po’ del sound. “Che fine ha fatto el songrider” è un disco che abbraccia il mondo dell’elettronica. È anche questo un modo per manifestare il cambiamento. Gli strumenti acustici classici del cantautorato lasciano spazio ad una apparecchiatura elettronica di tipo digitale. Simon Le Buch spazia da un genere all’altro, a tratti dubstep, o anche lo-fi, ma in linea di massima fedele all’hip-hop. In molti dei suoni si sente l’influenza old school, le sue basi mi ricordano lo stile dei A Tribe Called Quest.
Ma come si dice spesso a volte il troppo stroppia. È per questo che in un disco tanto vario lo stile di Simon le Buch rischia di rimanere troppo spesso sommerso. Se da una parte mi piace l’effetto sorpresa tra un brano e l’altro, dall’altra sento la mancanza di una linea guida. Ma il nostro artista è ancora giovane, in cerca del suo stile. Il disco, composto di undici tracce, è attualmente disponibile su YouTube e Spotify, vale la pena dedicargli un ascolto. E ora che anche il mistero del songrider è stato risolto non ci resta che salutarci e darci appuntamento al prossimo mistero.