La sera di Pasqua Tiziano Ferro è stato ospite di “Che Tempo Che Fa”, lo storico programma Rai condotto da Fabio Fazio. Nel corso dell’intervista virtuale, il cantante ha chiesto chiarezza al governo sulla situazione dei concerti affermando che per ora sono formalmente in piedi perché i provvedimenti del governo arrivano fino al 3 di maggio.
Musica ai tempi del Coronavirus, quale destino per i concerti?
La richiesta di Tiziano Ferro è semplice, si chiedono al governo delle linee guida per il mondo della musica che non è fatto dei soli artisti. La preoccupazione del cantante, infatti, era rivolta principalmente agli addetti ai lavori (fonici, uffici stampa, tecnici, autotrasportatori ecc) e, ovviamente, al pubblico che ha già acquistato i biglietti per eventi del quale non si sa ancora nulla.
Ovviamente la replica dalla rete non si è fatta attendere. Tra chi insulta Tiziano Ferro perché “parla bene dalla sua casa a Los Angeles” e chi “in questo momento ci sono cose più importanti”, come (quasi) sempre la vox populi digitale ha dato il suo peggio.
Partendo dal presupposto che nemmeno Los Angeles è immune al Coronavirus, possibile mai che ancora una volta chi esprime un’idea o semplicemente le proprie preoccupazioni debba essere attaccato da tutti i lati?
Ci sono cose più importanti della musica? Dipende. Se pensiamo alle classifiche e alle hit estive, probabilmente è così. Ma se pensiamo alla musica come un settore lavorativo fatto non solo di artisti “milionari”, quello che resta è una schiera di persone che, in questo momento, non percepiscono nulla. Come già detto parliamo degli addetti ai lavori, tutta quella gente che lavora per voi dietro le quinte per darvi uno spettacolo (tecnicamente) degno di essere visto e apprezzato.
La musica non è una cosa seria?
Ovviamente Tiziano Ferro non è il buon samaritano. Pur essendo un artista ormai di fama internazionale è chiaro che buona parte dei suoi introiti derivino ancora dai concerti. In un settore in crisi come quello dei dischi la fonte di sostegno più importante per gli artisti sono i concerti e questo è innegabile.
Però, crediamo, che il cantante abbia fatto questa domanda in buona fede, pensando al pubblico e agli addetti ai lavori entrambi in bilico tra biglietti comprati e, quando va bene, cassa integrazione forzata.
Quello che forse manca nel nostro Paese è la concezione che anche la musica è un lavoro serio. Il cantante non si spacca la schiena in fabbrica o su un campo a 1 euro al giorno. Però ci sono molte altre categorie che fanno altrettanto e non vengono mai prese di mira da nessuno.
Intendiamoci, qui non si vuole puntare il dito contro avvocati, giornalisti e tutta quella “forza lavoro” che non ha le mani sporche e il sudore sulla fronte. Qui si cerca di ragionare sul concetto più che ovvio che in Italia la musica viene ancora vista come il passatempo da sfoggiare durante i falò, o chiusi in una cameretta buia a piangere perché il mondo fa schifo.
L’arte NON è gratis
La musica, come tutta l’arte in genere, è un settore che almeno in Italia non ha mai ricevuto il giusto riconoscimento. Tutti ascoltano dischi, tutti guardano i film, tutti leggono i libri ma quando si tratta di pagare per questi servizi esce il classico “trovati un lavoro vero”. Per non parlare del teatro, in quel caso si aprirebbe una diatriba infinita e nemmeno se tornassimo all’antica Grecia riusciremmo a uscirne indenni.
La musica e le arti in generale NON sono gratis. Sono un settore lavorativo fatto di donne e uomini che spesso lavorano nell’ombra e che sono pagati come un qualsiasi lavoratore. Non pensiamo allo Star System e alle sue luci scintillanti, pensiamo alla forza lavoro che lo rende possibile.
Dicono che con l’arte non si mangia e spesso è tristemente vero. E non si può nemmeno mangiare fisicamente l’arte. Voglio dire, qualcuno di voi ha mai provato ad assaggiare un CD? Diciamo che l’arte è un cibo atipico, che non va allo stomaco ma alimenta la fantasia e l’immaginazione. L’arte in tutte le sue forme è quello che rende le persone libere dalla razionalità e dagli schemi perché mette in moto la fantasia e non la digestione.
Sofismi a parte adesso cerchiamo di essere un po’ più pratici. Da quanto tempo siete chiusi dentro casa? Io, nello specifico dall’8 marzo, un po’ prima del lockdown per ragioni che non interessano a nessuno e che non starò qui ad elencare. Però la mia persona, come molte altre, sta chiusa in casa da più di un mese.
Immaginate di vivere questa “reclusione” (per quanto necessaria) senza arte. Quindi senza film, senza libri, senza musica, senza teatro, senza fumetti, addirittura senza film porno (sì, è arte pure quella). Immaginate le vostre giornate tutte uguali. Il primo giorno passa, il secondo si inizia a fare fatica, il terzo si contano le mattonelle e i petali dei fiori. E poi?
Che fine farà l’arte?
Lasciamo da parte la polemica. Lasciamo da parte gli insulti gratuiti a Tiziano Ferro e a chi come lui ha sollevato una questione importante.
Che fine farà il settore della musica? E il cinema? E il teatro? Che fine farà l’arte dopo la pandemia?
Al momento non si hanno notizie certe. C’è chi parla di uno slittamento di un anno di tutti i concerti e tutte le attività. C’è chi addirittura dice che le cose non saranno più come prima.
Non lo sappiamo, ma una cosa è certa adesso come non mai dobbiamo essere noi a difendere l’arte. Dobbiamo essere noi a sostenerla proprio come lei ci ha sostenuto nei momenti difficili. Dobbiamo dare indietro all’arte tutto l’amore che ci ha dato senza chiedere nulla in cambio e dobbiamo farlo principalmente per noi stessi perché senza arte, il mondo sarebbe un posto troppo grigio.