Molto prima che l’indie-pop facesse dell’incuria nella vocalizzazione una caratteristica che ha disgraziatamente reso la musica davvero per tutti, la erre di Francesco Guccini e la sua pesante cadenza romagnola facevano sorridere già da parecchio tempo. Non è mai semplice presentarsi al pubblico con una pronuncia poco pulita. Ma a differenza di buona parte della produzione musicale odierna, il cantautore modenese ha sempre avuto dalla sua una scrittura coinvolgente e profonda. Se oggi si presentasse davanti a una produzione, nessuno gli concederebbe di emergere dall’underground. Troppo sfacciatamente politico, dai contenuti scomodi per tutti per essere davvero commerciale, anche per il suo tempo.
Dall’alto dei suoi 79 anni, la carriera artistica di Francesco Guccini non è mai stata semplice
Ci vollero, infatti, più di dieci anni per imporsi all’attenzione dei produttori non solo come generoso paroliere, ma anche come cantante. Effettivamente Francesco Guccini, come anche altri autori, non è stato benedetto con doti vocali strabilianti. Ma sensibilità, contesto storico e familiare, studio delle lettere e, perché no, Madre Natura hanno contribuito a renderlo un cantautore amatissimo. È nella leggerezza e semplicità degli accordi di chitarra la sua formula vincente. Con la sua migliore amica solo apparentemente sembra improvvisare ballate, che potrebbero fare da sfondo a una tavolata di amici in chiacchiere.
Il timbro acuto di Francesco Guccini è reso meno doloroso dal velo di amarezza e di impertinenza con cui si snodano le sue liriche
Politica, amore, ricordi, amicizia, simboli: tutto perfettamente incastrato lungo 16 album. Neanche troppi per chi è sulla scena musicale dalla fine degli anni ’60. Ma Francesco Guccini ci è arrivato attraverso le retrovie, prima facendo apprezzare la sua composizione scrivendo per anni testi proposti dai Nomadi. Forse uno degli autori che ha collezionato più riconoscimenti per la sua produzione artistica che è sempre stata intrecciata con l’impegno civico. Negli anni la sua musica è stata avvicinata a quella di Sting e di Bob Dylan. Come ebbe modo di dire Giorgio Gaber, scrivere 13 strofe su una locomotiva non è da tutti.
“L’ultima Thule” è il lavoro più recente di Francesco Guccini, edito nel 2015
Forse bisognerebbe sostituire l’indignazione all’apprezzamento quando si scovano nuove generazioni riscoprire brani quali “Eskimo” e “Vedi Cara”. O persino “Autogrill” e “Farewell”. Resta comunque il modo principale per tramandare i lasciti importanti e non dimenticare del tutto quel modo particolare di rendere musicale la prosa che aveva Francesco Guccini. Perché è improprio affermare che i suoi testi siano poesia. Di certo è un autore in grado di allegarvi insieme parafrasi e interpretazione, con garbo, eleganza e discrezione. Sarebbe davvero istruttivo riascoltare con l’attenzione che meritano canzoni come “Dio è morto” e “L’Avvelenata”. Chissà che non siano troppo radical chic per i tempi che corrono. Non ci resta che ringraziarlo per i pezzi di vita che lo hanno scelto come colonna sonora, e fargli tanti auguri di buon compleanno.