STONEWOOD: "Ci siamo evoluti tanto in questi anni lasciando spazio alla creatività"
Gli Stonewood.
Gli Stonewood.

STONEWOOD: “Ci siamo evoluti tanto in questi anni lasciando spazio alla creatività”

Benvenuti Stonewood su Music.it. Per rompere il ghiaccio iniziamo subito con il chiedervi di raccontarci un aneddoto legato a voi, o alla musica in generale, che ricordate con piacere.

Quando stavamo cercando il bassista, durante i vari provini, arrivò Francesco. Ottimo sound, buon feeling. L’unica cosa che stonava erano le scarpe che indossava. Erano davvero orrende. Dopo la prova ci salutammo, con l’imbarazzo tipico che nasce subito dopo la frase «ti faremo sapere». Quando andò via, Vito sentenziò: «Sì è bravo, ma se torna co’ quelle scarpe non lo prendiamo». Ovviamente non le ha più rimesse.

A cosa è dovuta la scelta di chiamarvi Stonewood?

Non sapevamo davvero come chiamarci. Eravamo in un limbo, come lo era la nostra musica all’inizio. Ci siamo evoluti tanto in questi anni lasciando spazio alla creatività. Il nome che abbiamo scelto è stato il gene evolutivo dominante. Il legno e la pietra sono stati i primi elementi per l’evoluzione dell’uomo. Sono materiali grezzi che si trasformano in oggetti come frecce o asce, ma anche in oggetti incredibili come strumenti musicali oppure statue. Il legno e la pietra sono gli elementi base della vita, per noi della musica. Possono diventare tutto quello che si vuole.

“Stonewood” è stato registrato con Pierangelo Ambroselli e mixato da Luca Spisani al Kaos Studio. Raccontateci le vostre prime impressioni, appena avete avuto tra le mani il prodotto finito.

In realtà abbiamo capito subito che stavamo facendo qualcosa di buono già dalle registrazioni. Abbiamo deciso di fare un disco dal forte sapore live. Pierangelo Ambroselli è stato fondamentale, un professionista che si è subito legato a noi in modo empatico. Ci ha capiti, Mentre registravamo sentivamo che stava uscendo quello che volevamo. Poi al missaggio Luca Spisani ha fatto un lavoro incredibile. È stato come avere un sesto Stonewood nel gruppo. Si è affezionato al progetto e noi a lui. Siamo stati coccolati da due grandi professionisti.

Dal 2014, anno della formazione degli Stonewood, ad oggi, con il primo album appena uscito, come sono cambiate le aspettative della band riguardo il percorso che volete intraprendere?

Oggi siamo ancora in evoluzione così come lo eravamo il primo giorno. Le nostre aspettative crescono di pari passo ai risultati. Stiamo prendendo delle decisioni per noi molto importanti, come firmare con un’etichetta e spingere il nostro lavoro il più possibile. Ma mai avremmo pensato di arrivare a considerare questa possibilità un anno fa.

“Space Goat”, già inserita nell’EP del 2014, differiva per sonorità dal resto del lavoro. Stavate iniziando la mutazione verso un nuovo stile?

Decisamente. “Space Goat” rappresenta tante cose. La capra in generale ci accompagna da sempre come animale guida, prima per gioco. Poi l’abbiamo fatta diventare uno dei nostri brani principali e infine ora è a cavallo di un razzo sulla copertina dell’album.
La capretta si è evoluta in capra antropomorfa con le possibilità tecniche di andare nello spazio.
Il nostro stile non sappiamo come definirlo. Tendiamo sicuramente allo stoner rock ma inevitabilmente inseriamo in fase di costruzione tantissime altre influenze.

Nel 2016 c’è una modifica alla line-up del gruppo. La vostra evoluzione passa anche da quel cambio al basso?

La line-up è cambiata in modo sostanziale. Il basso è una parte fondamentale del nostro sound. Francesco ha portato uno stile completamente nuovo rispetto al precedente, uno stile sul quale tutti noi ci siamo ritrovati. Siamo stati fortunati perché ci siamo subito trovati bene con lui, forse perché è serenamente disturbato mentalmente, come noi.

Pur essendo italiani, cantate in inglese. Ci spiegate la vostra scelta linguistica?

Le nostre influenze sono principalmente anglofone. Ci viene naturale scrivere in inglese i nostri pezzi. Quindi più che una scelta è una naturale conseguenza.

A quali gruppi/artisti del passato o contemporanei vi ispirate di più per rendere, comunque, il progetto Stonewood sempre più originale e riconoscibile?

Sicuramente Black Sabbath e Kyuss sono tra le nostre storiche ispirazioni, ma seguiamo molto la scena desert/southern/heavy rock più moderna con band del calibro di Fu Manchu, Clutch e Sasquatch. Sono loro a farla da padrone nei nostri ascolti quotidiani. Non ci dispiace mai inserire e portare avanti quell’influenza grunge, quella degli Alice in Chains e dei Soundgarden, con la quale siamo cresciuti negli anni ’90.

A dispetto della giovane età della band, avete alle spalle molti live. È già confermata qualche data per la primavera? Dove potremmo venire a sentirvi suonare?

Stiamo lavorando sulle date in questi mesi. Sulle nostre pagine ci saranno gli avvisi di volta in volta. Quello che possiamo sicuramente dire è che ci stiamo impegnando per cercare di farci conoscere il più possibile.

Le nostre domande sono terminate, salutandovi e ringraziandovi. Vi lascio spazio per aggiungere ciò che volete e, magari, per fare un saluto ai vostri fan e alle persone che seguono Music.it.

Un sentito grazie a voi! Rilasciare un’intervista con Music.it è un vero privilegio! Invitiamo i vostri lettori ad ascoltarci e a seguirci sulle nostre pagine e ai nostri concerti!