Diamo il benvenuto a Xavier Pompelmo. Ti abbiamo già intervistato e ti avevamo fatto la nostra domanda di rito, quindi fatta a Xavier Pompelmo, non a Davide. Ci avevi raccontato la storia del rapimento alieno con Elvis Presley, che ha fatto scalpore tra l’altro, una cosa fuori dal naturale. Ora, avendo già quest’informazione, sta volta invece chiedo a Davide, ti è mai capitato mentre eri dall’altra parte della telecamera di riprendere scene che non ti scorderai mai?
Forse la risposta più giusta alla tua domanda è questa. Non sono un regista che gira con un’idea sommaria e monta. Io sono per una disciplina da preproduzione, quindi mi studio tutto prima e ho tutto lo storyboard già fatto e vado esattamente a girare quello che c’è da girare. Quindi è tutto molto preciso.
Quindi quello che deve succedere succede e gli imprevisti sono vietati.
Eh sì. Calcolo sempre che non ci deve essere l’imprevisto, proprio per star tranquillo io.
Senti, sapendo che hai lavorato con Zerocalcare, quindi immagino pure Giancane, Rancore e quant’altri mi viene da pensare che tu musicalmente sei diventato attivo da un paio d’anni, diciamo, ma con loro hai collaborato prima sotto il punto di vista dei video. Pensi che ti possono aver spronato loro in qualche modo? Ascoltando la loro musica ad esempio. Ci può essere un collegamento?
Il collegamento c’è, ma non è esatto questo, nel senso che quando ho iniziato a fare i video io suonavo già da 15 anni, ho iniziato presto… Poi mi sono innamorato follemente del visuale, quindi disegno e simili fino all’animazione, e nel momento in cui sono diventato bravo in quello, ho dovuto decidere dove andare a lavorare. Io, ovviamente, essendo già un musicista che faceva musica da 17 anni, ho proprio scelto di andare in una direzione musicale, quindi di andare a lavorare in un contesto di lavoro che mi piaceva. Sapevo già in qualche modo che un giorno queste due strade si sarebbero unite.
È stata anche questa tutta una grande preproduzione a un progetto musicale quindi.
Sì, era proprio “Mi affascina quel mondo lì, quindi mi propongo direttamente la”. Non è che ho strumentalizzato le persone con cui ho lavorato eh – ride –.
No no, certo, ci mancherebbe.
Volevo lavorare con chi stimavo! Con dei contesti che sentivo più vicini al mio, e quindi il primo con cui ho fatto un videoclip è stato Roberto Angelini che aveva un video di Andrea Rivera, poi Luca Carocci e Gianni Maroccolo dei Litfiba. Sono state le prime cose che mi hanno lasciato un po’ entrare in quel mondo. Io intanto ho continuato a fare ciò che facevo, ovvero produrre musica, scrivere musica, finché è arrivato il momento proprio di tirarla fuori. Anzi, da una parte è pure più faticoso se sei già inserito nel mondo musicale.
Sì, magari hai meno credibilità perché tu sei il videomaker e non sei il musicista.
Esatto, io quindi adesso devo essere molto credibile in quello che faccio. Sarò valutato con un occhio molto diffidente, mi sono creato un altro tipo di immaginario.
Hai avuto un po’ l’impressione che entrando in quel mondo tanti meccanismi fossero diversi da quelli che ti aspettavi? A partire dalla produzione di un disco, quindi oltre ad avere l’etichetta, l’ufficio stampa, la produzione e quant’altro, ti sei reso conto che c’erano meccanismi che non si vedono da appassionato, da musicista, e poi invece…
Sì! Io non ci avevo capito niente, cioè ancora faccio fatica a capire i sistemi che regolamentano la musica. Perché quelli ancora sono dei punti interrogativi che ho. Più o meno vedo come gira, come va, però non avevo idea poi tecnicamente dei passaggi che portassero alla finalizzazione di un prodotto. Dalla produzione, che però ho imparato già un po’ prima di fare videoclip, fino al lavoro in studio con un produttore. Però tutta questa roba, l’ufficio stampa, non sapevo neanche esistesse. Quando l’ho scoperto ho capito che può servire, comunque che è un sistema che oltre che per la musica esiste per tutto.
Certo! Rimane comunque un sistema di diffusione e divulgazione
Che poi se ci pensi tutto quello che sai, e che vai ad imparare non corrisponde a verità. Cioè ci sta una dose di caso in tutto, proprio delle situazioni che ne intercettano altre e che fanno funzionare un’equazione matematica che però non era prevedibile, il che è anche affascinante. Da una parte ci sta l’ufficio stampa, la comunicazione, il social, il marketing e tutta questa roba qui. Ci sono però anche dei contenuti che funzionano più di altri, ma non perché siano più belli. Pure la musica è diventata una cosa particolare, perché ormai, non voglio fare i discorsi che fanno tutti, ma va in contemporanea con la società e con quello che succede intorno a te.
È una cosa che va sdoganata questa, è importante dirlo.
Dovrebbe esserlo, il discorso che sto facendo è che si sa che c’è chi decide cosa deve ascoltare la gente. Io questa cosa la odio, cioè il fatto che le persone che hanno solo ansie e nervosismi debbano sentire solo musica leggera. Ma chi l’ha detto? Quindi perché in radio deve passare solo una musica adatta solo per un target di persone lobotomizzate, perché sta nel Grande Raccordo Anulare, nel traffico e non devono pensare di stare sul Raccordo? Stai sul Raccordo comunque!. Ti puoi sentire pure la sigla dei Puffi, ma tu stai sul Raccordo, e la vita è una meda! – Ride – Per dire, ora la vita non è una merda, però mi irrita questa cosa perché anche qualunque cosa che ha a che fare con la tristezza, con qualunque cosa che sia diversa dalla spensieratezza va sostenuta ed è anche piacevole se uno né sa parlare nel modo giusto, capito?
Piuttosto chiaro. Allora, ci siamo avvicinati un pochino al tema de “la vita è una merda” e ci siamo avvicinati così all’ultimo singolo, “Macigno con le gambe” che lascia un pochino questa idea, cioè, non tanto il fatto che la vita è una merda, quanto, a mia interpretazione, che la vita è così. Te la devi prendere così e te la devi far andar bene punto e basta. È un’interpretazione giusta, sbagliata?
È il punto di partenza, diciamo. Su cui poi cerco di sviscerare i miei pensieri, che poi i miei testi sono sempre un po’ sospesi appunto, ma è giusto che ognuno ne legga ciò che gli pare. Sono scritti anche per lasciare un’apertura, non che lo faccia apposta, però mi viene naturale lo scrivere in maniera indiretta, quindi non dico esattamente quello che penso, lo lascio sospeso. Qui il punto di partenza è “la vita è faticosissima”, ognuno vive le proprie fatiche e il brano parla anche del come se ne esce.
E cosa c’è oltre questo?
Racconta anche di chi sta intorno, io parlo di mia madre nel brano, però si può allargare il discorso, è un riferimento a chi ti sta vicino e con te fa da valvola di sfogo. Il fatto quindi è che le persone che ti stanno vicino ti aiutano poi a tirare fuori quel malessere che tu vuoi fare uscire, e che sia a volte anche faticoso da dover raccontare. Anche quando non vuoi raccontare qualcosa chi ti è vicino te lo legge in faccia. Quindi tu fai finta che non sia così, ma non ci riesci. È anche una sorta di omaggio a chi di fatto si ritrova faticosamente a dover condividere con te i tuoi problemi.
Parlando un po’ del video e dell’album invece. In “Macigno con le Gambe” è carina l’idea di dare questa impressione triste a livello vocale, ma con un netto contrasto con le immagini, che sono quasi tutte allegre ma danno un po’ di nostalgia. Torna quindi il tema della presa di coscienza che crescere ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi?
Assolutamente sì. Acquisisci consapevolezza e quindi l’occhio capta tutte quelle cose che istintivamente non vedeva, la testa inizia a ragionare su quello che vedi, sulle cose che non funzionano… Il video fondamentalmente l’ha girato mio padre perché quelle erano tutte videocassette che io poi ho sbobbinato, ed è appunto una fotografia di momenti felici. E mentre lo facevo, creando poi questo contrasto voluto col testo, pensavo anche a chi ha vissuto la metamorfosi. Cioè, un genitore ti vedeva così e poi invece ti vede adesso. Non che io sia un depresso – ride –però ovviamente ti legge negli occhi non più quella spensieratezza che c’era. Quindi per fare un omaggio a chi mi sta vicino mi sono messo appunto nei panni di chi vive il cambiamento di una persona a cui vuole bene e anche la fatica di percepire quel cambiamento.
C’è anche uno spunto di speranza, no? Quindi magari in tutto l’album c’è anche modo di prenderla alla leggera…
La cosa bella è che ognuno si sceglie come uscirne, c’è sempre la possibilità di uscire da tutto, ma anche di vivere parallelamente. Nel senso che tu puoi vivere anche le situazioni più pesanti cercando di leggerle nella maniera per cui ti gravino meno emotivamente. La visione non è la claustrofobia del “non c’è speranza”, anzi, è più un “non c’è da star male”. Ci vuole il coraggio di vederle le cose, e la valvola di sfogo vera è l’onestà di vederle nel modo giusto. Non fingere che non siano dolorose e chiudersi su una visione finto positiva, perché quella ti può creare anche più problemi. Perché lo stare bene della videocassetta ormai non è più contemplabile, però la consapevolezza delle cose, l’onestà di vederla e di riuscire subito a trovare l’energia per gestirla fa la differenza. Il disco parla delle valanghe che ti arrivano.
E parlando di “Valanghe”, nel disco, c’è proprio questo discorso: ogni cosa che ti accade, da una tragedia a una cosa felicissima, devi riuscire ad accettarla. Ogni tuo brano è come una valanga insomma.
Sì, decifrare le cose nella maniera giusta, senza dissimulare. Nel disco io racchiudo le mie valanghe e poi una volta che le metabolizzo mi viene più facile esorcizzarle, anche scrivendo un pezzo.
Parlando del futuro, hai in progetto un tour magari con una band, oppure andare a suonare da solo… Come sei preparato?
A livello di live ho costruito una sezione acustica per portare il disco in giro un po’ più agilmente, ho fatto una cosa molto americana. Nel disco è tutto molto digitale mentre poi nel live ho tirato fuori un’altra veste, molto più umana. Comunque per adesso per lo più sono in giro per radio e faccio unplugged, sto però facendo le prove con una band per poter poi andare in giro il più possibile.
Adesso ti voglio girare una domanda che ti hanno già fatto, a cui tu hai dato una risposta secca. Ovvero, sei l’ennesimo cantante indie? Tu hai risposto di sì. Io ti chiedo, sei l’ennesimo cantante indie o c’è qualcos’altro?
Domanda giusta e risposta un po’ complessa, ossia, uno tiene sempre un orecchio e un occhio semi aperto su cosa ti succede intorno, perché sennò staresti chiuso in una stanza. Quindi i condizionamenti esterni ti arrivano sempre un po’. Non sono il solito cantante indie, in realtà quella risposta che ho dato era un po’ una provocazione, nel senso anche se io dovessi esserlo poi lo stabiliranno gli altri. Di certo c’è un tentativo che non sento nei cantanti indie, cioè quello di non fare per forza roba che sia soltanto godibile.
Allora, veniamo alle domande cattive! Di tutte le canzoni del panorama mondiale di ogni epoca, qual è la canzone che, a primo impatto, appena l’hai sentita hai detto “cazzo, questa la dovevo scrivere io”?
Bella domanda e di nuovo risposta molto molto complessa, ma senza raccontarti della mia epifania rock, direi tutto “Appetite for Destruction” dei Guns N’ Roses. Questo nella mia adolescenza, mentre adesso se dovessi sceglierne una, probabilmente sarebbe “Il Re Muore” di Samuele Bersani. L’ho sentita e m’ha fatto volà.
Ora ti chiedo l’esatto opposto. Dimmi quale è la canzone che vorresti cancellare dalla storia della musica.
No! Non si chiedono queste cose – ride – È una gran bella domanda ma potrei metterci delle ore a rispondere e trovare un’artista che cancellerei proprio dalla musica.
Allora vorrà dire che in una prossima intervista ce lo farai sapere. Ora dobbiamo lasciarci, quindi ti chiedo di salutare i nostri lettori con un tuo consiglio!
Beh, il consiglio è di iniziare a vedere le cose per quello che sono, di capire, di imparare, di crescere, di notare e di ascoltare questo disco, perché un po’ di pubblicità non fa mai male!