«If you think you are too old for rock n’roll, then you are», disse uno che di rock n’roll se intendeva. Mi verrebbe da ipotizzare che l’opposto sia ugualmente valido. Se pensi di essere ancora capace di “spaccare”, puoi farlo a venti, quaranta o a cent’anni con la stessa passione. E che questa cosa non si applichi solo alle persone, ma ai generi stessi.
L’hard rock ha una storia gloriosa alle spalle, fatta di band che hanno segnato un’epoca e, partendo dalla potente, acida chitarra hendrixiana, seppero scheggiarla, affilarla e (complice l’evoluzione dell’hardware sonoro negli anni ’70-’80) trasformarla in un’ascia di pietra (“rock”, per l’appunto) che era ancora indubbiamente legata alle origini del genere, ma accoglieva la graffiante lezione del proto – metal.
I M.I.L.F. rilasciano una incurante e appassionata dichiarazione d’amore all’hard rock classico
A distanza di ormai mezzo secolo da quelle origini, il mondo musicale ha subito cambiamenti enormi, e l’hard rock non è più quel gigante della musica mainstream che fu in quella doppia decade. Ma evidentemente nessuno lo ha detto ai M.I.L.F.
Band fiorentina che suona ormai da decenni, con un solo album e molta attività live all’attivo, i M.I.L.F. ( significa “Make it Long and Fast”, dicono loro. Me lo ricordavo diverso.) ritornano con “Rolling Thunder”, album che, se non si fosse capito, è un grosso dito medio puntato in faccia alla contemporaneità della musica mondiale, nella forma squadrata di un album hard rock anni ’80 duro e puro.
Ben eseguito a tutti i livelli, la sua nostalgia è il suo limite ma anche il suo maggiore punto di forza
Un’operazione rischiosa. Ci vuole un attimo a scadere in una inutile sequela di citazioni, o semplicemente ad annoiare. Ma “Rolling Thunder” è tutto fuorché noioso. Come un vecchio camionista sbronzo nelle strade statali americane, il lavoro procede ignorante e incurante di tutto. Propone religiosamente la semplice struttura rock di riff, assolo, riff. La presenza dei Mötley Crüe è pervasiva (“Babe”), tingendo questo hard rock di una decisa mano di glam.
Ma si tratta di un solo aspetto di quest’album, che, nella sua semplicità di intenti, trova il modo di essere un’appassionata dichiarazione d’amore al rock tout-court (mi sono trovato a sorridere sulla fine dell’assolo di “Bad Boys”, dove la chitarra giocherella con i The Rolling Stones). Ben eseguito a livello strumentale, si avvale anche di un’ottima prova di Simone Galli (voce), il cui timbro graffiato è efficace ed incisivo. Lo consiglio a chi ama follemente il Rock ottantiano, e a chi non lo ha mai sentito. “Rolling Thunder” potrebbe farvi scoprire un genere.