Che l’industria culturale sia una delle più colpite dalla in tutti i paesi del mondo è innegabile. Tutti i professionisti del settore risentono tantissimo delle restrizioni per fronteggiare la pandemia. Ma gli artisti del Regno Unito hanno un’altra preoccupazione: la Brexit. Sembra che di nuovo l’industria culturale sia stata tagliata fuori da agevolazioni previste per altri settori. Il quesito spinoso che circola tra gli artisti, soprattutto gli emergenti, riguarda visti e permessi necessari per circolare liberamente negli stati dell’Unione Europea.
Non sono state avanzate soluzioni da Downing Street, sede del primo ministro Boris Jonson. Sarebbe necessaria la produzione di una burocrazia che consenta la libera circolazione di band e orchestre anche per periodi di tempo circoscritti. Ecco le parole di Jamie Njoku-Goodwin, amministratore delegato dell’associazione di categoria UK Music:
«Esiste il rischio concreto che i musicisti britannici non possano sostenere costi e ritardi dovuti alle nuove procedure burocratiche. Questa situazione potrebbe mettere a rischio diversi tour»
Una professionista del settore, manager di diverse band emergenti, ha fatto i conti della serva e li ha pubblicati su Twitter. Se una band inglese volesse fare un tour che comprende tre Paesi come Francia, Germania e Olanda dovrebbe sborsare 1800 sterline. Magari ad artisti del calibro di Ed Sheeran e Adele faranno il solletico. Tuttavia, per un gruppo indipendente, pagato poche centinaia di euro a concerto, inizia a essere una cifra esosa.
Il 2020 non era ancora terminato quando molti musicisti, tra cui Dua Lipa, Foals e Biffy Clyro, hanno chiesto al governo britannico di intervenire. La petizione, che ha raccolto oltre 250mila firme, chiede «di negoziare un permesso di lavoro culturale che consenta a professionisti della musica dal vivo, band, artisti, celebrità della tv e dello sport di muoversi liberamente per esibirsi in tour nei 27 paesi dell’Unione Europea».
L’Independent ha puntato il dito contro il governo Johnson, il quale avrebbe rifiutato un accordo vantaggioso per i musicisti del Regno Unito
«Generalmente, negli accordi con i paesi terzi, il visto non è necessario per i musicisti. Abbiamo cercato di fare lo stesso, ma hanno detto di no»
Questo è ciò che ha detto la fonte dell’Indepenent vicina ai negoziati. Non sono mancate le reazioni piene di rabbia degli artisti. Secondo Thom Yorke l’attuale gabinetto è composto da «stronzi senza spina dorsale». Sintetico ed efficace. Tim Burgess dei Charlatans, invece, ha scritto un velenoso articolo in cui parla di tradimento:
«L’accordo è stato trovato e aveva le sue eccezioni. La lista di chi può muoversi nell’UE e lavorare senza un permesso include consulenti, gente che va a conferenze, ricercatori tecnici, scientifici e di marketing, analisti. Chiunque faccia un seminario di aggiornamento è esonerato […]. Non c’è niente, però, che ci assicuri di non dover gestire una quantità enorme di burocrazia, così come i costi che ne derivano. Questi costi renderanno le cose impossibili per chi è ancora all’inizi, per le Florence, le Adele e gli Ed Sheeran del futuro, che ora si trovano davanti nuovi ostacoli. [L’accordo] mette l’industria musicale di cui andiamo tanto orgogliosi in serio pericolo».
Il governo ha poi smentito categoricamente la ricostruzione dell’Independent, addossando la responsabilità all’Unione Europea. Un portavoce del gabinetto Johnson ha detto che il Regno Unito riaprirà i negoziati.
«[Il Governo]ha sempre sostenuto proposte ambiziose per permettere agli artisti di lavorare. […] Se dovessero cambiare idea, la nostra porta è ancora aperta. Ci sforzeremo perché gli artisti britannici possano viaggiare e lavorare nell’Unione Europea nel modo più semplice possibile»