Stavolta è toccato a questo strano oggetto filmico intitolato “The Reunion”, a metà tra sperimento artistico e documentario, arrivare nelle nostre sale con un ritardo quinquennale. Il nome di Anna Odell è apparso per la prima volta nel 2009, quando divenne famosa in Svezia per un tentato suicidio a cui fece seguito un ricovero psichiatrico. Il gesto si rivelò essere una messinscena: l’azione, appositamente registrata su nastro, diventò il suo lavoro di diploma. Un esperimento che aveva l’obiettivo di portare alla luce le reazioni della società svedese ai problemi psicologici e all’elevato tasso di suicidi del paese. L’audace progetto artistico portò a un’accesa discussione sul fatto che potesse essere etichettato o meno come arte. Anche in questa sua prima regia, Anna Odell rompe gli schemi della fiction. Non solo scompiglia le regole filmiche, ma trascina lo spettatore ai confini tra finzione e realtà – che di fatto è anche finzione.
“The Reunion” di Anna Odell, a metà tra sperimento artistico e documentario, arriva nelle nostre sale con un ritardo quinquennale.
Quando Anna Odell, che qui interpreta in qualche modo se stessa, viene invita a una rimpatriata coi vecchi compagni di classe, ci va con intenzioni molto diverse da quelle degli altri. Quella che doveva essere una tranquilla serata di ricordi nostalgici viene bruscamente turbata quando, nel bel mezzo della cena, Anna pronuncia il suo discorso. Tutto ciò che non era riuscita a dire fino a quel momento esplode in una dura recriminazione contro tutti i presenti. Alquanto sconcertati e comprensibilmente agitati, i compagni di classe iniziano a rispondere alle sue accuse. Ma è proprio questa la reazione che Anna voleva suscitare? E soprattutto, voleva suscitare davvero la loro reazione?
Nella realtà, Anna Odell non è stata invitata alla rimpatriata, quindi ha deciso di servirsi della finzione filmica per far accadere ciò che non è mai accaduto.La messinscena cinematografica diventa un’occasione per poter dire a tutti ciò che ha sempre pensato, ma che in realtà non ha mai avuto la possibilità di dire. La regista però non si è accontentata di questo. Tant’è che terminato il film, ha rintracciato i veri compagni di classe per mostrarglielo. Le loro reazioni sono state riprese e inserite in coda al film. Ricapitolando, “The Reunion” è diviso esplicitamente in due parti. Nella prima assistiamo alla riunione, ovvero la versione immaginata da Anna Odell. Nella seconda, la regista contatta i suoi ex-compagni e li mette davanti alla sua ricostruzione. Apparentemente lo fa non per provare le sue ragioni, ma per sapere cosa pensano e sentono le vere persone coinvolte.
“The Reunion” è diviso esplicitamente in due parti. Nella prima assistiamo alla riunione, ovvero la versione immaginata da Anna Odell. Nella seconda, la regista contatta i suoi ex-compagni.
Ma perché la regista ha sentito il bisogno di inscenare in “The Reunion” la rimpatriata alla quale non è mai andata? Le ragioni hanno l’aspetto di un’elaborazione dolorosa, la forma di una presa di coraggio necessaria per sanare le ferite passate. Anna Odell è una vittima di bullismo, una pecora nera da allontanare e che poi diventata un’artista. Ma anche allora la sua personalità – in questo caso artistica – è stata rifiutata. Anna dopo vent’anni continua a essere una guastafeste, e allora tanto vale esserlo veramente. E accettare la propria natura di presenza scomoda, e guastare anche il film. La linea divisoria tra finzione e realtà rimane incerta, ma dopo venti minuti la struttura ingannevole del film comincia a rivelarsi. Ci troviamo in presenza di un mokumentary invertito, un film nel film che scompiglia il senso di quanto visto fino a quel momento costringendoci a ripensarlo.
Ma anche la seconda parte dissimula la sua natura documentaria, prolungando la finzione più autentica della prima. Anna Odell non ha trovato quasi nessun amico disposto a prendere parte al progetto, e i pochissimi che hanno accettato hanno respinto le sue accuse. Quasi tutti gli amici che vediamo assistere al film sono nuovamente degli attori. Ma anche se i veri compagni si rifiutano di incontrarla, Anna impone loro i suoi sentimenti. Se non riceve le risposte desiderate, continua a insistere con maggiore forza. Diventa addirittura spietata quando se la prende con quelli che un tempo erano bulli e ora sono degli adulti falliti. Arrivata a questo punto ad Anna interessano solo i suoi sentimenti. La donna soffre delle sue stesse frustrazioni. I sentimenti di rabbia e tristezza sembrano dominarla e questo finisce per renderla odiosa. La sua invadenza mette in imbarazzo e arriva a infastidire lo spettatore di “The Reunion”.
Superato il fascino per la struttura dubbia tra reale e ricostruito, “The Reunion” si rivela un artificio cinico schiacciato dall’egocentrismo della sua stessa regista e protagonista.
Quello che dovrebbe essere il vero film si basa su poche tracce di sceneggiatura, lasciando largo spazio all’improvvisazione. Le reazioni appaiono naturali, animate dal sincero dolore dell’artista. Nel suo discorso dice tutto ciò che non ha potuto dire quando era giovane e vulnerabile. Lo fa senza trattenersi, mettendo a nudo qualsiasi scomoda verità. Davanti alle sue parole, tutto ciò che gli amici sanno dire per difendersi è che allora erano solo dei ragazzi. Una risposta che ovviamente ad Anna non basta e prontamente ribatte: “Perché io cos’ero?”. Quello che veramente affascina è il coraggio con cui si rilancia, motiva a infrangere ogni ricordo sentimentale passato ai suoi amici. Alla fine, come nel “Festen – Festa in famiglia” di Thomas Vinterberg, Anna Odell li fa infuriare così tanto che preferiscono agire fisicamente e buttarla fuori. L’incapacità di rispondere della propria violenza viene risolta con una nuova violenza.
Se guardando la prima parte di “The Reunion” siamo inevitabilmente dalla parte della protagonista, sostenendola nella sua intransigenza, con la seconda retrocediamo in empatia e guardiamo le sue azioni con sospetto. Attraverso scene più palesemente ricostruite, la regista cerca letteralmente lo scontro con quelli che dovrebbero essere i suoi compagni di classe. Vorrebbe mostrargli il film che ha fatto per sentire cosa ne pensano, senza addentrarsi troppo nelle responsabilità. Vuole farli riflettere e cercare di scoprire perché viene ancora rifiutata, perché non è stata invitata alla vera rimpatriata. Ma lo fa nel modo sbagliato. Finisce per perdere nuovamente il controllo quando impone la sua presenza ai compagni che vorrebbero ignorarla. Li raggiunge sul lavoro, li attende fuori casa. Diventa lei stessa una bulla. “The Reunion” reitera la sua prima parte, trasformando però la sofferenza autentica in ossessione psicotica, tanto da far apparire l’intero progetto come una piccola vendetta personale.
“The Reunion” non lascia lo spettatore indifferente. Peccato che la regista risulti incapace di non farne una questione personale nemmeno per un attimo.
Il tema del bullismo è trattato escludendo dalla scena i bambini, ma mostrando le conseguenze a lungo termine sugli adulti. Effettivamente questa scelta rende ancora più necessaria la sua condanna sociale. Quanto sia radicato il trauma nella regista, lo si evince dalle carrellate minacciose attraverso gli stretti corridoi della scuola. Così come traspare dagli affiancamenti della cinepresa mentre Anna fa jogging e dagli auricolari che la isolano da tutto il resto. Alzando troppo l’asticella morale, la regista vuole dimostrare come tutte le forme di sopruso all’interno di una società abbiano conseguenze. E che queste non si limitano all’infanzia o all’adolescenza, ma ci segnano come persone e ci determinano come adulti. “The Reunion” non lascia lo spettatore indifferente. Peccato che la regista risulti incapace di non farne una questione personale nemmeno per un attimo.
L’errore più grande di Anna Odell è di aver reso respingente un problema sociale autentico, misurandolo per forza sulla propria esperienza personale. Superato il fascino per la struttura dubbia tra reale e ricostruito, “The Reunion” si rivela un artificio cinico schiacciato dall’egocentrismo della sua stessa regista e protagonista. Anna Odell trattiene dentro di sé la storia o, se la racconta, lo fa sempre per se stessa e mai per lo spettatore. Lo sguardo costantemente soggettivo sul tema esclude qualsiasi sfumatura. L’autrice finge di variare il punto di vista dando parola agli altri, ma è solo un’occasione per ricondurre nuovamente tutto a se stessa. Emblematica la scena in cui chiede a uno dei vecchi compagni come si senta, salvo poi precisare che in realtà non le interessa affatto. Il protagonismo urticante inizia a farci dubitare della versione gridata fino a questo punto. E quando lo facciamo, il film pericolosamente traballa.