A passeggio con un cagnolino, dando consigli amorosi a Eddie Brock. Così appariva il buon vecchio Stan Lee nel recente “Venom” di Ruben Fleischer, ultimo dei suoi tanti camei cinematografici. Sfidando ogni diatriba produttiva, trattandosi di un film targato Marvel/Sony anziché Disney. Ma a lui, fondamentalmente, poco importava. Il cinecomic è indubbiamente il genere cinematografico d’eccellenza di questo millennio. La produzione è passata da un film a biennio, a tre all’anno. E il Marvel Cinematic Universe, sopratutto dopo la fusione con Disney, ha incassato vette al box-office epocali. Accorpando un’orda di fan, dai vecchi lettori nostalgici ai bambini di ultima generazione. Tralasciando dispute critiche di qualsiasi genere, questa wave colossale è dovuta principalmente proprio a Stan Lee. Figura cardine dei Marvel Comics, insieme all’immenso Jack Kirby. Dagli anni ’60 diedero una nuova carica esplosiva alla celebre casa di fumetti americani, creando gli eroi più iconici del pantheon marvel.
Ancora si discute su chi fosse il vero creatore delle storie, tra Stan Lee, Jack Kirby e Steve Dekto. Eppure Stan Lee rimane ed è rimasto l’unico volto accostato all’immaginario Marvel. Il one&only tra i padri fondatori dei supereroi più amati. Di motivi ce ne sono molteplici, sopratutto la sua grande figura carismatica. Stan Lee, rispetto a suoi colleghi, si è sempre fatto ben notare dal pubblico. La sua immagine da nonno d’America, con tanto d’occhiale a goccia e baffetto, ha colorito convention, raduni e fiere. Sempre sorridente, pronto all’ironia e senza prendersi mai sul serio. Gli innumerevoli camei nel Marvel Cinematic Universe, erano accompagnati da grandi risate in sala. E attesi quanto le sequenze post-credits. Stan Lee era un personaggio pop a tutto tondo, capace di convergere abilità artistica e immagine pubblica. Editore e superstar. Energico e adrenalitico. “Excelsior!”, come recitava il suo motto.
Stan Lee era un personaggio pop a tutto tondo, capace di convergere abilità artistica e immagine pubblica.
Passando dagli albi a fumetti al grande schermo, che ci piaccia o meno, questo ha rappresentato Stan Lee nell’immaginario culturale. Da quel fatidico 1961, in cui comparvero per la prima volta i Fantastici Quattro, sotto le richieste dell’allora capo editore, Martin Goodman, e a fronte di una crisi che colpì le vendite della Marvel. La DC Comics, eterna rivale della casa editrice, stava spopolando nel mercato del fumetto americano. Stan Lee e Jack Kirby, sceneggiatore e disegnatore, crearono questa anomala famiglia di supereroi. Scritti su modello della middle class family anni ’60, i Fantastici Quattro incarnavano l’american dream. A fronte dei personaggi DC, così dei, divi e poco umani, quattro persone qualunque si ritrovano in possesso di superpoteri straordinari. Stan Lee riuscì a elargire proprio questa verve caratteristica, composta da toni ironici e un’introspezione più profonda. Tutti i personaggi Marvel spesso sono caratterizzati da difetti, personalità instabili e una forte emotività.
Tanti li ritroviamo immersi in una vita non troppo dissimile alla nostra. Sono studenti, lavoratori o dottori, cittadini qualsiasi. Che tramite eventi fortuiti iniziano a padroneggiare poteri fuori dalla norma. Molti ne fanno una virtù, altri un danno per sfogare le loro rabbie represse sul mondo. Tuttavia, da Spider-Man a Iron Man, da Hulk agli X-Men, Stan Lee ci ha regalato la possibilità di identificarci in un eroe. Mantenendo con il suo pubblico un continuo dialogo, ha fatto suoi anche i problemi sociali dei lettori. Riportandoli, molto spesso, nelle storie, nelle dinamiche, negli ambienti in cui si muovevano i suoi personaggi. Degno di nota, durante il crossover “JLA/Avengers” del 2003, lo stupore negli occhi dei personaggi DC, che, arrivati nel mondo Marvel, vedono quanto siano temuti dalla società in quanto “diversi”. È una sequenza di poche vignette in cui si evince la totale contrapposizione delle due case.
Stan Lee è già leggenda. Per il suo essere riuscito a far sentire tutti noi un po’ supereroi.
Gli eroi DC sono amati, benvoluti, sono super. Quelli Marvel, anche posti al servizio cittadino, sono osteggiati e boicottati. Stan Lee ha ribaltato la formula del supereroe classico, arricchendolo di nuove sfaccettature più umane. Raccontando al contempo la storia e i moti sociali di quegli anni ricchi di cambiamenti. E portando il fumetto non solo nelle mani di un pubblico infantile, ma a un pubblico adulto e internazionale. Poter racchiudere in poche righe tutti i tratti innovatori dati da un autore come Stan Lee sarebbe un’impresa abissale. L’universo Marvel, vede così tante storie e intrecci da scriverci volumi enciclopedici. Così tanti disegnatori e scrittori hanno arricchito le sfaccettature dei supereroi da lui date. Ma Stan Lee, il suo amico/nemico Jack Kirkby e Steve Dekto hanno indubbiamente dato il via a quella fase di svecchiamento della Golden Age del comic. Smorzando il fumetto dall’impatto ideologico americano, così troppo vittorioso e invincibile.
Stan Lee ci lascia, volente o nolente, un universo ancora capace di raccontare nuove storie. E in grado di passare tra diversi media e di appropriarsi di nuove fette di pubblico. Come pochi altri autori sono riusciti a fare nel corso della storia. Anche trattandosi di un tipo di fumetto popolare e fruibile ai più, il mondo Marvel desiste dal suo tramonto. Proprio grazie a questa sua attitudine di avvicinarsi sempre di più al lettore. E allo spettatore comune. La Marvel è una fabbrica di sogni, tanto quanto Hollywood. E finché uscirà un nuovo film con protagonisti i formidabili Avengers, difficilmente, anche negativamente, non ne verremo travolti. Stan Lee è già leggenda. Per quanto contestabile sia come attributo, una parte di veridicità persiste. Per i suoi camei, i suoi personaggi, o le sue marvelous stories. Ma sopratutto, per il suo essere riuscito a far sentire tutti noi un po’ supereroi.