Alessandro Blasioli è un animale da palcoscenico. Lo capisci già dai primi minuti di “Sciaboletta”, ed è lampante quando, dopo 50 minuti da solo in scena, ti fa venire voglia di rimanere seduto, per vedere il seguito della storia che ti ha fatto ridere, riflettere, e rattristire. Lo Sciaboletta del titolo altri non è che Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro, per i nemici Vittorio Emanuele III di Savoia. E l’ultimo Re d’Italia – effettivamente ci fu anche su figlio Umberto II, detto il Re di Maggio perché non ebbe neanche il tempo di sedersi sul trono – di nemici ne aveva parecchi. Ma non lo realizzi fintanto che non vedi Alessandro Blasioli all’opera.
Il ventiseienne abruzzese sostituisce un intero cast, portando in scena in maniera esemplare una moltitudine di personaggi. Non solo Sciaboletta dunque, ma tutti i nomi responsabili della sorte del nostro paese durante il Ventennio e la Seconda Guerra Mondiale prendono vita sul palco di Teatro Studio Uno. E diventano personalità tragicomiche portate in scena con estrema naturalezza, nonostante un testo solo in apparenza facile. Alessandro Blasioli si è infatti messo a dura prova con uno one-man-show dal ritmo sfrenato, riuscendo a dare a ogni carattere voce, accento e movimenti unici e facilmente distinguibili.
Le pagine più nere e imbarazzanti della nostra Storia prendono vita con un’inedita freschezza, grazie a un dipinto di umanità viva. Dietro a maschere che richiamano la commedia dell’arte si celano persone. Sciaboletta, la Regina Margherita, Pietro Badoglio, Dino “Cugino” Grandi, il cinghialotto nero Benito Mussolini e Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e tanti altri, respirano grazie al non detto, al dramma umano, prima che storico, che muove le loro vite. La paralisi della scelta del sovrano è il tormentone comico che strappa più risate. Ma è anche il punto di partenza per terribili interrogativi.
Alessandro Blasioli è un animale da palcoscenico. Lo capisci già dai primi minuti di “Sciaboletta”.
Sciaboletta non è l’inetto letto nei libri di storia. O almeno non solo. La macchietta vesuviana solo in apparenza fagocita l’uomo. Solo in superficie fa – tanto – ridere. Nei suoi occhi vedi il peso delle responsabilità, il senso di inadeguatezza che si è fatto largo fra i problemi fisici. Se lo guardi troppo a lungo, le tue incertezze si specchiano in lui. E inizi a chiederti cosa avresti fatto con un intero paese fra le mani, quando riesci anche a bruciare le pizze surgelate a giorni alterni. Ti immedesimi in personaggi così diversi da te, dai tuoi ideali e da quella che pensi sia la tua identità, finché non realizzi che in fondo sei, come loro, un semplice essere umano. Fragile.
Com’è stata possibile la deriva fascista? Come è stato possibile entrare in guerra? Com’è stato possibile riuscire a perderla con entrambe le fazioni? Ma, soprattutto, dov’era il popolo quando si prendevano decisioni che ci fanno indignare? Come oggi, stava a casa a leggere – e scrivere – recensioni senza capo né coda. Perché non è questo il luogo dove rispondere a questi quesiti. Qua posso solo consigliarvi di andare a vedere quel mostro di Alessandro Blasioli interpretare perfettamente un esercito di personaggi, cantare, muoversi con precisione chirurgica e riuscire a non sbagliare o incartarsi nonostante un testo denso e veloce.
Aggiungo a margine, ma solo perché sono uno scrittore incapace e disorganizzato, perché si tratta di una pezzo importantissimo di “Sciaboletta”, che l’ottimo lavoro fatto da Fabrizio Bellacosa da Fausto Tinelli ha reso il monologo a Teatro Studio Uno indimenticabile. L’ottimo lavoro con luci e suono – kudos per l’easter egg giurassico – e la perfetta sintonia fra palco e regia tecnica non sono mai scontati, specie quando le persone coinvolte sono così poche. Bravissimi!