Sto scrivendo una tesi di laurea magistrale che tratta di Lingue e Lettarature Straniere. “E ora che l’hai scritto?” direte voi. E come darvi torto? Eppure, ascoltando “Archipel{o}gos”, l’ultimo disco dei maceratesi Mata, m’è parso di stare ascoltando il filare d’una rete che da da quattromila anni ha visto incominciare a Creta, l’amore che è finito ieri in Texas. Mi spiego: la mia tesi vuole andare in fondo all’indicibile del cuore pulsante di cui non si può avere conoscenza, ma solo fare esperienza.
Il lettore perdonerà l’avanzare di questo mio articolo per citazioni – sì, mi fermo – è solo che: come meglio raccontare la sensazione di alienante vivacità, di letterale rimbalzo sensoriale che “Archipel{o}gos”, con la sua complessità sonora, intrisa d’ancestrale futurismo, ha procurato ai miei sensi?
Con “Archipel{o}gos”, i Mata portano a galla i disturbi che logorano i taciti nervi, il palpitare dell’ansia, in un flusso dimensionale ipnotico e stringente
Il terzetto marchigiano – che col suo nome Mata traduce in dialetto la parola “fango”– ha condotto una ricerca sonora che sembri tracciare i confini al silenzio. Quello atavico e che certamente ci attende alla fine. È un disco freddo, “Archipel{o}gos”. Di un freddo irreale, ai limiti del chimico. Le distorsioni sfibranti, i martellanti ritmi sulla grancassa tribale, le contaminazioni sintetiche arrivano all’orecchio come pungenti sfide alla comunicabilità.
È come se l’incessante movimento del ritmo – puntuale, calibrato, a galoppo – attraversasse, crudele, gli scarti dell’intraducibile. Per capirsi, i rumori industriali parlano l’idioma del rock noise, che poi rimanda echi IDM e che ritornano secchi, storditi e alienati. La dissonanza, però, alberga nel solo fluire della coesa partitura strumentale: Alessandro Bracalente, Emanuele Sagripanti e Mauro Mezzabotta sono musicisti che impeccabili, riescono a pieno nel loro progetto di decostruzione cognitiva e sonora.
“Archipel{o}gos” dei Mata è un disco a terapia d’urto
Perché di questo si tratta: un viaggio nelle remote incongruenze che quotidianamente si è indotti ad ignorare. Con “Archipel{o}gos”, i Mata portano a galla i disturbi che logorano i taciti nervi, il palpitare dell’ansia – cara prudenza, tutta contemporanea – in un flusso dimensionale ipnotico e stringente.
Uscito oggi 4 Ottobre per l’indipendente Only Fucking Noise, “Archipel{o}gos” è un disco a terapia d’urto. Che no, non racconta dell’amore iniziato a Creta e finito in Texas, ma che permette la contemplazione dei suoi lapidari detriti. Sempre gli stessi, uguali e diversi. Sparsi e lanciati per tutte le isole che non si può fingere di non rappresentare. Per dirla con Beckett: cara incomprensione, sarà a grazie a te che potrò essere me stesso. Ecco, i Mata, forse, non hanno detto che questo.