I Belize in uno scatto di Dalì Geralle.
I Belize in uno scatto di Dalì Geralle.

BELIZE: “non siamo i Belize per quello che diciamo, ma per il suono che abbiamo creato”

Cari Belize, vi do il benvenuto su Music.it. Saltiamo i preamboli e andiamo dritti al sodo. Raccontatemi la scena più imbarazzante che avete vissuto durante uno dei vostri live.

Non dirò chi, ma una volta un membro della band aveva decisamente mangiato troppo prima di un concerto. Durante il live per non farsi vedere dal pubblico si è girato di scatto e ha mollato un rutto gigante che, oltre essersi sentito nei microfoni, ha beccato in faccia un fotografo. Le foto erano belle però!

Perché la musica come scelta d’espressione? Come nasce questa passione?

Ad essere sinceri non la vediamo molto come una scelta, è semplicemente capitato. Penso che la musica come mezzo espressivo arrivi in un secondo momento. Prima si vuole emulare qualcuno o semplicemente imparare a suonare uno strumento. Questa passione che abbiamo per la musica è nata in modi diversi: Federico è impazzito dopo aver visto “School of Rock”, Riccardo voleva fare le stesse cose che faceva suo cugino maggiore e Mattia un giorno ha ascoltato i Red Hot Chili Peppers e ha capito che esistevano delle emozioni in più oltre euforia e tristezza

Quali sono gli artisti che credete abbiano maggiormente influenzato le vostre scelte a livello artistico nel tempo?

Nirvana, Red Hot Chili Peppers e Verdena fino ai 18 anni. Poi è arrivata la musica elettronica e il rap nelle nostre vite, quindi DJ Shadow, Massive Attack, Gorillaz, Kanye West fino a cose molto più attuali tipo Arca, Oneohtrix Point Never, Frank Ocean. Ascoltiamo veramente di tutto, anche il peggior brano sanremese potrebbe essere di ispirazione

Siete partiti, come molti, dai locali di quartiere, fino ad avere il successo che avete oggi. Quanto credete sia importante il rapporto con il vostro pubblico attuale?

Noi vogliamo un bene dell’anima al nostro pubblico. Esistono poche differenze tra noi e loro. Siamo coetanei e condividiamo le stesse passioni. L’unica differenza è che noi siamo sul palco e loro sotto. Una delle cose che ci dicono più spesso è “non cambiate mai” ed è ancora assurdo sentire una persona sconosciuta, con cui avresti potuto tranquillamente condividere la prima canna della tua vita, dirti una cosa così semplice e profonda. Quindi sì, è importante.

Sentite molto la pressione di un pubblico così vasto?

Al nostro livello e con il genere che proponiamo la “vastità” del pubblico è molto relativa. Esiste ancora una grande differenza tra la città e la provincia, per cui numeri variano di molto. Noi non ambiamo ad avere subito un grande pubblico. La vediamo un po’ in stile anni ’90. Facciamo musica alternativa e il nostro pubblico crescerà con noi, negli anni, non nei giorni.

Credete che la partecipazione ad X-Factor abbia contribuito al raggiungimento di determinati risultati?

Pensiamo sia stato un importante trampolino di lancio, questo sì. Ma molto pubblico che sta arrivando non sa neanche della nostra partecipazione al talent.

Parlatemi delle idee alla base di “Graffiti”. Come nasce?

Per contratto! Dovevamo farlo per forza! (Ridono).

So che siete dei giocatori e videogiocatori, e “Fisher Price” mi dà la conferma di quest’affermazione. Cosa rispondereste se vi dicessi che vedo bene un vostro brano nella prossima soundtrack di Rocket League?

Avessi detto del nuovo GTA ti avremmo risposto:“meglio di così non possiamo fare, ci ritiriamo”.

Solitamente la traccia che dà il nome al lavoro è la più significativa. Perché la scelta di nominare “Graffiti” come una traccia strumentale?

Tutte le nostre pubblicazioni hanno come title track una traccia strumentale. Il motivo è tanto semplice quanto stupido: vogliamo dare importanza alla parte strumentale. L’unica cosa che ci rende una band, a parte la componente live, è aver creato un suono nostro, ed è per questo che diamo molta importanza a questo tipo di brani. Noi non siamo i Belize per quello che diciamo, ma per il suono che abbiamo creato.

In “Superman” avete analizzato l’aspetto più personale del supereroe: l’invidia verso la normalità. Avete paura che la scalata verso il successo possa portarvi a provare questi sentimenti?

Non vediamo l’ora! Almeno abbiamo qualcosa di nuovo di cui lamentarci.

Potreste definirvi i nuovi ambasciatori del genere trip hop in Italia?

Sicuramente siamo rimasti in pochissimi a fare un genere affine al trip hop, ma in questo momento che i Casino Royale e Subsonica stanno tornando in tour, risulterebbe difficile definirci tali.

Una canzone che non vorreste aver mai scritto?

Aver mai scritto nessuna, dai! Però ci spiace aver scritto “CV pt.1” troppo presto. È una delle nostre preferite. Forse in futuro la ri‐registreremo.

Quella che invece avreste voluto scrivere al posto di un altro?

C’è un gruppo di amici che si chiama Pashmak, hanno una canzone con un intro di piano che gli invidiamo tantissimo! Si intitola “Collisions”.

Vi ringrazio infinitamente per il tempo speso e vi invito a concludere con qualche parola per i nostri lettori e i vostri fan.

Grazie a voi! Lettori e fan, ci vediamo sotto al palco e non siate timidi, che tanto facciamo tutti schifo uguale.

Exit mobile version