Sarà difficile trovare la formula giusta per invitarvi a Teatro Studio Uno e contemporaneamente cercare di non rovinarvi la visione di “Bunker” scrivendo troppe informazioni sulla trama. Piccolo consiglio: alzate il telefono, prenotate un biglietto e andate a guardare questo spettacolo. Io rimango qua a vostra disposizione per dopo. Se invece avete deciso di rifiutare l’occasione di vedere un’opera scritta e messa in scena in modo eccellente, o avete avuto la fortuna di farmi compagnia ieri alla prima, restate con me.
Siamo nell’Italia degli anni di piombo. L’autunno caldo è finito, è iniziata la nuova stagione dello stragismo nero. Due anarchici sono costretti a nascondersi per un errore che potrebbe costargli vita e libertà. La convivenza tuttavia è resa difficile dai loro caratteri opposti. Matteo Antonucci interpreta l’intellettuale della strana coppia, non crede nelle bombe ma nei volantini, viene etichettato come complottista per aver intuito la strategia della tensione. Probabilmente avrebbe preferito fare l’entomologo. Biagio Iacovelli viene dai quartieri popolari e sembra aver aderito alla causa più per sfogare istinti di pancia che per i suoi ideali. La sua lettura ideale è un Penthouse.
L’unico contatto con il mondo esterno è la femme fatale di Miriam Messina, che porta nel bunker viveri e notizie, con snervanti pause drammatiche che potrebbero portare alla follia il duo. È l’isolamento stesso che però spinge i protagonisti a perdere il senno: uno si rifugerà nella fede, l’altro cercherà di redigere un nuovo manifesto anarchico in stato di intorpidimento.
All’interno di un testo brillante e apparentemente leggero, che regala momenti di comicità pura, Roberto Nugnes dimostra ancora una volta di saper costruire personaggi che funzionano su più livelli. Da una parte troviamo una perfetta sintesi di un periodo storico complesso, dall’altra un’incisiva critica rivolta al presente. I Cani Sciolti hanno trasformato la Sala Specchi in un ambiente vivo e coinvolgente, e gli elementi di teatro immersivo hanno reso l’esperienza positivamente cinematografica.
Le idee di Luca Pastore hanno arricchito un testo solido con giochi di luce e ritmi serrati. Evitando cliché e facile moralismo, il regista ha saputo spingersi oltre ogni limite, dove altri avrebbero facilmente fallito. Oltre alle risate e alle riflessioni, una scena in particolare ha dimostrato il saper-fare della compagnia, che, sotto una direzione sempre attenta, ha regalato una scena particolarmente disturbante al pubblico. Non voglio e non posso svelarvi di più, ma posso dirvi che sono stati pochi minuti particolarmente intensi e difficili, e le facce scioccate degli astanti (compreso il sottoscritto) sono state la conferma dell’ottima riuscita dell’istante.
La grande forza del cast è stata quella di far diventare punti di forza anche sbavature e imprecisioni, e la grande capacità di improvvisazione ha coperto ogni (piccolo) errore. Dovendo trovare dei difetti a ogni costo, ammetto di non aver amato la colonna sonora eccessivamente didascalica. Nonostante la necessità di contestualizzare la narrazione, forse si sarebbe potuto optare per soluzioni meno esplicite. Vedere spettacoli eccellenti mi fa avere fiducia nel genere umano, ma mi toglie il divertimento di borbottare su queste pagine, credetemi se vi dico che sto davvero cercando un inesistente pelo nell’uovo. Non perdetevi “Bunker”.