A partire dal Leone d’oro che l’allora presidente Bernardo Bertolucci consegnò nelle mani di Gianfranco Rosi per “Sacro GRA (2013)”, la Mostra del Cinema, ma in generale i vari festival cinematografici, hanno continuato a inserire numerosi documentari nelle loro programmazioni. Unico rappresentante della non fiction per la sezione principale di questa Venezia 75 è “Che fare quando il mondo è in fiamme?” del quasi quarantenne Roberto Minervini, ricordato qui al Lido per “Low Tide” (2013) ma che ha continuato a dividersi tra Cannes e l’America, dove vive da anni.
Questo nuovo lavoro del documentarista marchigiano racchiude il proprio valore nell’interrogativo dell’esergo. Un punto di domanda rivolto a chiunque abbia sott’occhio lo schermo e le immagini che Roberto Minervini seleziona nella complessa situazione americana della storia recente. Che fare quando il mondo è in fiamme? L’incendio in questione ha luogo negli Stati Uniti del profondo Sud, dove nell’estate del 2017 si accumulano i cadaveri di giovani ragazzi afroamericani brutalmente uccisi dalla polizia. Gli episodi sanguinosi sembrano scuotere l’America, e si esige un’assunzione di responsabilità ormai tardiva. La comunità nera si ritrova isolata nella propria condizione minoritaria, ipocritamente negata e a lungo sottovalutata.
Il regista nobilita il proprio mezzo espressivo, realizzando un documentario, dalla sorprendente tenuta scenica, per farne strumento di dibattito necessario. “Che fare quando il mondo è in fiamme?” vive dopo se stesso.
Essere nero in America. Essere nero oggi. Quella proposto da Roberto Minervini è un ritratto intergenerazionale in bianco e nero in cui la riflessione sul concetto di razza è presentata accostando scenari diversi. Dalle conversazioni familiari alle proteste del Nuovo Movimento delle Black Panthers, passando per riunioni sindacali raccolte in un bar o per strada, fino al sensibile confronto tra due fratelli in cui vengono pronunciate frasi lapidarie ma da ripensare del tipo: “Anche se tu avessi la pelle bianca tutti capirebbero comunque che sei un nero!”.
Il regista nobilita il proprio mezzo espressivo, realizzando un documentario, dalla sorprendente tenuta scenica, per farne strumento di dibattito necessario. “Che fare quando il mondo è in fiamme?” vive dopo se stesso. Toccato dalla sensibilità umana del regista, il film curiosa senza morbosità accusatoria nelle vecchie questioni irrisolte della comunità nera americana. Questioni che sembrano riattualizzarsi negli episodi di cronaca nera, che non fanno altro che soffiare su una brace mai spenta del tutto. Sono aliti di rabbia, malinconiche speranze che durano tanto quanto i ricordi di una vecchia ottantenne, nella consapevolezza che nulla è mutato, semmai peggiorato. Una conseguenza diretta della negligenza istituzionale, del divario socioeconomico tra poveri e ricchi e del forte razzismo endemico di cui Donald Trump è solo la causa ultima.
“Che fare quando il mondo è in fiamme”, dignitosissimo documentario di Roberto Minervini, affonda nella disuguaglianza sociale americana, avanzando un discorso radicale e schierato
Questo dignitosissimo documentario di Roberto Minervini affonda nella disuguaglianza sociale americana, avanzando un discorso radicale e schierato (vivaddio!). La macchina da presa permane fiera solo da un lato della protesta, ne sostiene le cause senza per questo negare le colpe e le contraddizioni interne alla comunità nera. Abbiamo davanti un esempio di film che concede un’occasione alla gente che, mossa dalla collera e dalla paura, è bisognosa di raccontare a voce alta le proprie storie.