Diamo il benvenuto su Music.it a Don Naïve. Raccontaci un aneddoto divertente o imbarazzante che ti è successo su un palco o in studio.
Ciao a tutti, a dire il vero di cose strane me ne son capitate e ne capitano talmente tante che, più che altro, mi vengono in mente svariati episodi imbarazzanti, per lo più del periodo dei miei primi live. Mi è capitato di inciampare sui cavi del palco e cadere miseramente sul pubblico in pieno ritornello. Non ricordarmi minimamente le strofe e finirla a sbiascicare frasi incomprensibili con la scusa dello “slang”. Fare avances a ragazze direttamente dal palco coi loro ragazzi presenti o tradurre i live in comizi politici col pubblico. Tutte situazioni in parte giustificate dall’abitudine di fare a volte qualche bevuta di troppo nei pre-live, con inevitabili conseguenze tragicomiche.
Parliamo di “Non dire no”, come nasce questo brano e dove vuole arrivare?
Non dire di no” nasce in un momento particolare dell’estate passata, in cui ho deciso di distaccarmi dalla vita mondana che può fare una persona immersa al 100% all’interno del circolo delle organizzazioni di eventi nei club. Il brano è un discorso diretto che faccio alla mia ragazza – prima responsabile del mio “mettere la testa a posto” – dove parlo della nostra relazione e di quel che vorrei fare con lei col ricavato delle mie bravate e dei live. Sostanzialmente è un pezzo “romance” e “rude” allo stesso tempo, con un messaggio chiave molto semplice: per quanto una persona si possa tuffare nell’autodistruzione e nell’edonismo, troverà sempre qualcuno di importante disposto a stargli accanto ed a fargli superare questo momento buio; qualcuno con cui essere complice e crescere.
Come descriveresti il tuo percorso musicale? Come è cambiato nel tempo il tuo modo di fare musica?
Il mio percorso musicale è labirintico e multi-genere. Iniziai ai primi del duemila a comporre le prime rime e le prime strumentali, campionando da quel che trovavo tra i cd e le cassette di mio padre. Facevo il G-Funk, un sotto genere del rap molto importante negli anni 90. Contemporaneamente, ho sperimentato svariati generi, dall’R&B al Reggae; passando per il Dancehall e il Reggaeton, fino all’Electro-funk.
Come è cambiato nel tempo il tuo modo di fare musica?
Il mio genere primario è sempre e comunque rimasto G-Funk, tant’è che entrai a far parte dello gruppo storico italiano La Fossa. Ho collaborato con diverse importanti realtà estere e con artisti americani di un certo calibro tra il 2009 e il 2015 aiutando ad esportare “l’italian g-funk” nel mondo. Ora come ora, cerco solo di mettere tutte le mie esperienze insieme e di creare un certo tipo di sound che, per forza di cose, tende ad essere solare e in un certo qual modo “caraibico”, senza però perdere le radici “street”.
Dopo aver cambiato nome in Don Naïve hai rilasciato 3 singoli. Stai preparando il tuo pubblico a un disco intero o continuerai sulla strada dei singoli che in questo momento storico vanno per la maggiore?
La risposta sta nel mezzo. Dopo aver cambiato nome ho dovuto ricominciare da capo, in un certo senso, data l’inevitabile perdita di pubblico che in genere queste scelte comportano. Per cui, con la mia etichetta, la TRB rec, abbiamo deciso di seguire il trend e di pubblicare dei singoli per rinfoltire la fan base; cosa che, in effetti, sta funzionando abbastanza bene. Ovviamente, tutto questo lavoro è in vista della realizzazione di un album futuro, perché per quanto i singoli siano più immediati, sento fortemente la mancanza di un lavoro di concept, che solo un album può colmare, anche se, per ora, non sento sia ancora il momento.
Da produttore, in che condizioni trovi la scena musicale italiana?
Le uniche tre parole che mi vengono in mente, da produttore, per descrivere la scena musicale italiana sono: florida, dispersiva, satura. Florida perché, almeno per quanto riguarda il mio genere, non ho mai visto così tante idee e ragazzi giovanissimi e talentuosi muoversi sia nel circolo underground che sotto major. Dispersiva e satura perché, data proprio la quantità spropositata di produzioni che bombardano il pubblico ogni giorno, io stesso mi sento di brancolare nel buio nella ricerca di qualcosa che sia di mio gusto. Mi ritrovo spesso a non avere idea di cosa produrre quando uno di questi ragazzi bussa alla porta del mio studio.
C’è qualcosa che cambieresti? Perché?
L’unica cosa che cambierei è il sistema di “democratizzazione musicale” che, anche se da un lato permette a tutti di cimentarsi con la musica dal proprio home studio, che trovo sacrosanto, ha il lato negativo di far sembrare la cosa talmente semplice e abbordabile da far sì che chiunque si senta di ergersi a critico musicale; spesso non considerando minimante il percorso, le esperienze e le difficoltà dei musicisti criticati.
In che condizioni è il rap nel nostro paese?
In merito al Rap in Italia, penso si stia vivendo una nuova età dell’oro. Trovi il rap in radio, in TV, a Sanremo, nei talent, nelle pubblicità. Trovo si stia assistendo, finalmente, alla graduale realizzazione del sogno dei tanti che, prima di me, negli anni ’90, tentavano di portare il rap a un livello major su modello degli Stati Uniti.
Pensi che il genere abbia ancora qualcosa da dire? Perché?
Il rap ha sempre avuto la connotazione di essere portatore di messaggi sociali, sia positivi che negativi. Ogni epoca ha avuto i suoi messaggi e trovo sia normale che chi viene dagli anni 80/90 non comprenda che, al contrario di quanto si tende ad affermare, anche oggi il rap stia affrontando una marea di tematiche. Ovviamente sono temi contestualizzati nel mondo degli artisti che li affrontano e del pubblico che ne fruisce piuttosto che a uomini e donne siffatti che, invece, hanno fruito delle tematiche che venivano fuori direttamente dai centri sociali al loro tempo. Dove non c’è messaggio non c’è rap e, siccome tutt’oggi di rap si parla ancora, significa che dopotutto rimane ancora la “BBC del Ghetto“. Traslata a temi e necessità espressive di oggi, naturalmente.
Chi o cosa ti dá l’ispirazione per comporre musica? Chi o cosa non può mancare mentre scrivi?
In genere, prima di comporre, mi metto su un disco soul. Ultimamente sono in fissa con Gil Scott Heron; Quel tipo di musica ha sempre avuto la capacità di toccare certe corde che lanciano la mia mente direttamente su Marte e la finisco per produrre per ore e ore. Per quanto riguarda la scrittura, quel che non può mancare è quel che vivo nel quotidiano, quello che leggo e le sensazioni che provo. Non c’è un vero e proprio “qualcosa” che mi attiva la vena artistica in questo caso, semplicemente succede, ed è pure liberatorio.
Ultima domanda: “fatti una domanda e datti una risposta”. Che puoi dirci?
Sinceramente non saprei, sono una persona molto riflessiva e autocritica quindi passo praticamente gran parte di ogni giorno a farmi domande. Aggiungeteci che ho studiato filosofia e avrete il quadro della mia tragedia personale in merito al porsi domande di continuo su qualsiasi cosa, fino alla nausea. Sicuramente, nella dimensione musicale, passo il tempo a chiedermi se mai riuscirò a portare la mia musica al livello che spero, perché ritengo di avere molto da dare e da dimostrare, prima di tutto a me stesso. La sola risposta che riesco a darmi è che se continuerò a produrre musica di qualità prima o poi il treno passerà e che solo il tempo deciderà se tutte le esperienze che ho fatto, i miei sforzi, le delusioni e le piccole vittorie, saranno valse a qualcosa.