ELETTRONOIR: "Eravamo stanchi della routine classica e standard"
Marco Pantosi è voce, pianoforte e organo degli Elettronoir.
Marco Pantosi è voce, pianoforte e organo degli Elettronoir.

ELETTRONOIR: “Eravamo stanchi della routine classica e standard”

Diamo il benvenuto agli Elettronoir sulle pagine di Music.it! Siete attivi dal 2005, e nella vostra carriera avete suonato in ogni tipo di evento, da piccoli concerti locali all’Heineken Festival a fianco ai Depeche Mode. Raccontereste un aneddoto curioso, tratto dalla vostra attività live?

Innanzi tutto grazie per l’ospitalità. Tante esperienze, tanti visi, parole, emozioni, risate, personeMorrisey che ci ascolta da un angolo del palco, ci applaude e vuole pagarci l’acquisto del nostro primo cd; Enzo Avitabile che ci fa da chioccia al primo Premio Fabrizio De Andrè, rassicurandoci e consigliandoci di tutto; Rachele Bastreghi in sala d’incisione con un phone in una mano per scaldare il mic. valvolare che aveva in treno e dovevamo registrare in fretta, e nell’altra un calice di vino annacquato; le parole dolci di Gianni Maroccolo dopo aver ascoltato la nostra cover di “Memorie di una testa tagliata”; “Fatti Corsari“ che vince il Torino Film Festival; e poi i viaggi di notte a parlare a bassa voce… e tanto altro che ha reso questi primi 14 anni unici, da outsider.

Outsider sicuramente, ma sembrate mettere d’accordo i musicisti più diversi. Il vostro è stato un percorso di ricerca molto vario. Dall’inizio della carriera è cambiato qualcosa nel vostro approccio al lavoro di artista?

Abbiamo sempre seguito la nostra vocazione, ci siamo affidati esclusivamente a lei. Sappiamo che oggi siamo più artisti di prima. Agli inizi l’istinto e la rabbia hanno dominato tutte le fasi. Eravamo grezzi, istintivi, totalmente accecati da quello che stavamo facendo. Nel tempo ci siamo raffinati, siamo diventati più confidenti di noi stessi, abbiamo imparato ad ascoltarci meglio, senza mai rinunciare alla forte passionalità che ci contraddistingue. Ma le idee sono sempre state chiare, e ad oggi ci ritroviamo ancora a voler tratteggiare il nostro mondo che non consideriamo affatto concluso. Dobbiamo fare ancora di tutto. E l’aspetto più bello è l‘aver annullato ogni limite alla nostra voglia di desiderare, di avere sempre nuova fame e rinnovata sete, per scalare le nostre vette.

Parliamo, appunto, dell’ultima vetta in vista. “Panorama Sonoro/This is my land”, si basa su performance musicali improvvisate in luoghi abbandonati. Vorreste spiegare ai nostri lettori in cosa consiste e cosa volete comunicare al pubblico?

Eravamo stanchi della routine classica e standard, prestabilita dalla consuetudine del musicista che incide un disco e lo propone in tour, la stessa modalità, proposta da decenni, da tutti, nei soliti luoghi. Siamo sempre stati attenti e sensibili alle evoluzioni del mondo circostante.

Cioè?

Tu pensa che nel 2006 mettemmo in download gratuito i dischi pubblicati a libera offerta, da € 0,00 a quanto sei disposto a donarci tu ascoltatore. Un anno prima che i Radiohead facessero la stessa operazione con “Rainbow” e si cominciasse a parlare di questa modalità di diffusione. Ecco quindi i “perché” ed i “per come” di cercare una via contemporanea ed alternativa alla routine cui siamo tutti abituati.

Ho capito. Quindi tonando a “Panorama Sonoro”, cosa ha ispirato l’idea?

Il “Live at Pompeii” dei Pink Floyd nel 1974. Una Pompei in stato di abbandono, un live senza pubblico, che secondo un sondaggio di pochi anni fa di Rolling Stone, è considerato il concerto cui la maggior parte dei fruitori di musica avrebbe voluto assistere dal vivo. Eppure loro avevano suonato in location pazzesche: Venezia, su una zattera enorme, per esempio. Ma la gente avrebbe preferito quello di Pompei.

Certo. E poi che altro?

Woody Guthrie che e, oltre alla sua musica perfetta, il suo romanzo “This Land Is My Land”, trovato su una bancarella a Bologna. Il menestrello girava gli USA della grande depressione fra aie, fattorie, bar nel deserto, fabbriche chiuse e operai disoccupati in presidio, per suonare la protesta di chi non aveva voce; a libera offerta del pubblico, che a volte era una sola famiglia di tre persone, mamma papà e figli, attentissimi ai suoi messaggi ed alle sue melodie.

Ho capito, una connotazione fortemente sociale, politica nel senso più universale del termine.

Si. Mettici poi che viviamo nel paese con il primato dell‘80% del patrimonio artistico e culturale del mondo, e che di questo la stragrande parte risulta essere dimenticato o alterato, ed il cerchio si completa. Ci siamo studiati per mesi la strumentazione e ci siamo inventati musicisti contemporanei senza un modello preciso di riferimento. Artisti 2.0.

Improvvisati? Cioè, gli Elettronoir hanno iniziato così, senza riferimenti?

Improvvisati. Uno, due, tre e si suona. Secondo la legislazione che regola i flashmob (a minutaggio preciso, variabile in base ai contesti, puoi esibirti senza alcun permesso, basta che non alteri l’ordine pubblico e non rechi danno a niente ed a nessuno). Tutto documentato sia in video che in audio. Da questi set vengono estrapolati videoclip riepilogativi, che per sempre testimonieranno il nostro passaggio in questi posti, ponendo i riflettori su bellezze dimenticate e rivitalizzate con la nostra presenza musicale. Mica male no?!

Ah, per niente, direi! Mi ha particolarmente colpito la scena iniziale della performance “Vasca”, in cui il regista corre su una collina, in lontananza, fino a sparire. L’ho trovata bellissima nella sua malinconia. Si tratta di una improvvisazione avvenuta lì, sul momento. Qual’era l’emozione e il significato che volevate trasmettere?

All’inizio dell’esperienza avevamo dello scetticismo nel suonare in posti suggestivi privi di pubblico. Ma quella scena ci ha annullato ogni dubbio. Verso la fine di “Vasca”, fra le colline della Val D’Orcia, mentre ero preso a suonare, mi accorgo che dietro di me, un po’ di lato, sulla sinistra, stava accadendo qualcosa che non mettevo a fuoco: Guido (il regista che ci accompagna) aveva puntato il tre piedi a terra e la macchina sopra. Si stava spogliando, e prima che mi rendessi conto di tutto, stava già correndo a tempo della musica che stavo eseguendo, nudo, scalzo, a – 5 gradi, sulla collina che avevamo davanti.

Surreale.

Ecco, queste suggestioni irripetibili hanno colmato ogni vuoto delle esperienze live canoniche. In quel momento, e successivamente rivedendolo con calma ed al caldo, abbiamo capito alcune cose. Primo, che stavamo facendo la cosa giusta, nel modo giusto, per rimettere la musica al centro, e questi posti erano i luoghi degni di esperienze irripetibili, emozionandoci in maniera esponenziale; che la musica nasce per emozionare, non per compiacersi. che le emozioni sono imprevedibili e si devono rincorrere ovunque, non solo nei locali standard, ma anche in posti inconsueti, carpendone l’anima e l’essenza.

Nel progetto, dicevamo, è centrale la tematica del recupero di zone “morte”, sfruttate poi abbandonate dall’uomo. Quale luogo, tra quelli che avete scelto, vi è sembrato il più efficace per descrivere questo aspetto?

È stato particolarmente intenso suonare alla Feniglia (dove leggenda narra sia stato ritrovato morto Caravaggio), ed alla casa museo “Renato Guttuso” a Bagheria, un luogo che trasuda psichedelia ed una raffinata e malinconica, suadente decadenza. Anche se ogni tappa ha in sé un qualcosa di unico ed irripetibile… vedrete nelle prossime dove siamo arrivati. Calcola che le puntate di domani riprendono concerti suonati tempo prima. Anche slegarsi dalle connotazioni temporali lo troviamo un aspetto interessante. Le date di “Panorama Sonoro” vivono e rivivono ogni volta che qualcuno manda in play il video. Non si esauriscono con la fine del concerto.

La società di oggi si muove sempre più in fretta, macinando sotto le sue ruote persone, risorse e luoghi interi. Pensate che sia possibile ripartire a fare un discorso diverso anche a livello mainstream? Ovvero: il vostro progetto di recupero delle zone morte, improvvisato ma pensato, potrà secondo voi trovare un uditorio più ampio, magari più in là nel futuro?

Sicuro. Ci sentiamo, in maniera umile e consapevoli di chi siamo, dei pionieri. Siamo certi che questo modello, a breve sarà cavalcato un po’ da tutti, dal main stream come da chi opera nell’underground delle controculture. Scoprire luoghi “altri“ per potersi esprimere restituisce un boccata di ossigeno alla musica intesa come arte e non solo come vetrina, business e quant‘altro. Solo così ci si libera dalla strozzatura dell’imbuto dei soliti 100/200 live club dove tutti sono costretti a suonare “per esistere“, mettendosi in fila ad aspettare il proprio turno. Come se l’arte e la ricerca artistica personale avessero il tempo di attendere queste trame. Basta oggi davvero poco per portare un impianto audio autosufficiente, piuttosto facile da trasportare, e suonare a volumi anche importanti. Figurati per il main stream. La spesa è minima e la resa elevata.

Non solo, quindi un’idea creativa e innovativa, ma anche estremamente funzionale. Cioè, conveniente anche per i produttori, che siano major o artisti indipendenti con solo un’idea in tasca.

Esatto. Puoi pubblicare video all’infinito, in diretta, registrati, e tenerli a disposizione di chiunque per sempre. Arrivando a tutti senza che nessuno si sposti e spenda soldi e tempo per raggiungerti. Se riflettiamo, oggi il concerto canonico è un tappeto di schermi di smartphone che fanno foto e video.

Ha! A tratti deprimente, ma è così.

Deprimente o no, c’è poca interazione con l’artista e con il proprio vicino. Non dico che è un bene o un male, che è bello o brutto, che siamo peggio o meglio, che lo fanno in tanto o tutti. Dico quello che c’è ora e che è visibile a tutti. C’è più interesse a condividere dal cellulare che col vicino prossimo. Di conseguenza l’aspetto della condivisione dello stesso luogo con cento/mille persone, è un elemento che sta sparendo, ed anche velocemente. Mettici pure la soglia di attenzione che si abbassa e la necessità di vedere un concerto in più volte, magari in più giorni, come fosse una serie TV. E allora immagino e verosimilmente vedo, da qui a breve, questa tipologia di live che prenderà piede in maniera massiccia. Le spese anche da parte del musicista, puoi immaginarlo, sono davvero ridotte rispetto ai costi di un tour classico.

A prescindere da tutto, un ritorno al rapporto diretto col pubblico e alla creatività come quello che descrivi sarebbe eccezionale. Elettronoir, vi faccio i migliori auguri per “Panorama Sonoro” e vi lascio volentieri lo spazio di chiusura!

Grazie per gli auguri! Vi invitiamo a seguirci su Instagram, a iscrivervi al canale Facebook e Youtube degli Elettronoir per non perderVi questo tour perpetuo, dove prima o poi, sicuramente, ci incontreremo.