“Soundplanets” è un album che lascia di stucco. Un dialogo inaspettato tra jazz, pop e musica elettronica che riesce a dare linfa vitale a tutti e tre i generi, senza svilire, banalizzare o scendere a patti. Enrico Intra non ha bisogno di grosse presentazioni. Gigante del Jazz internazionale, ha collaborato con ogni sorta di artista, da Iva Zanicchi a Tullio de Piscopo, da Francesco Guccini a Gerry Mulligan.
Oggi, dopo sessant’anni di carriera, si mette ancora in gioco con un album intelligente, coraggioso e sperimentale, per spiegarci quali sono, secondo lui, le nuove strade del jazz. Strade che a quanto pare, si muovono nell’atmosfera amniotica dello spazio. Fin dalle prime battute di “Dorfles”, ci rendiamo conto che la contaminazione la fa da padrone. Il misterioso soliloquio di una donna e una batteria sempre più insinuante si accavallano a un piano a volte jazz, a volte addirittura noise.
In “Soundplanets”, un continuo gioco di rimandi crea un’atmosfera electro jazz di grande effetto
Ma si tratta di un album che non batte decisamente solo su un tasto. La seguente “Timer Tai-chi” è un brano caldissimo, ma anche più classico, che vi risucchia in un grembo materno fatto di serenità, dolcezza e anche una punta di malinconia. Appena dopo, “Vertical” e “Campari Moment” riprendono una sperimentazione nevrotica e ritorta su se stessa. Tutto l’album gioca su questa tensione tra innovazione e conservazione, in un equilibrio tenue ma trovato con maestria. Così le tre tracce centrali dell’album, “Floating”, “Hangar” e “Through the Door” sono un sottile intreccio di rimandi, la prima e l’ultima a tema più “spaziale”, quella di mezzo più digressiva. E in tutte riecheggia “Dorfles”. Un caleidoscopio di sensazioni che riflette mille volte le improvvisazioni precedenti, deformandole.
Un modello di ispirazione che raccoglie suggestioni da vari generi, creando con essi un perfetto equilibrio
Quando ci si è messi comodi, ci pensa poi “Kick” a ribaltare il tavolino, con un ritmo elettronico di cui il pianoforte è elegante e divertito commentatore. “Interstellar”, la chiusa dell’album, è un pezzo puramente elettronico in cui riecheggiano inquietanti le parole di Kurtz, personaggio di Apocalypse Now: «Horror and moral terror are your friends». Un finale strano, per un album che ti lascia così soddisfatto e contento dopo l’ascolto. Ma d’altronde, si tratta di un lavoro che vuole sorprendere. Per quanto mi riguarda, Enrico Intra ci è riuscito. Speriamo che questa commistione intelligente, non necessariamente elettronica, venga apprezzata e chissà, magari anche reinterpretata.