Ciao George Herald, benvenuto su Music.it! Nonostante la giovane età sono sicuro tu abbia collezionato qualche aneddoto interessante legato alla carriera musicale. I lettori vogliono lo scoop! Raccontacene uno!
Una volta avevo un concerto a Cabiate, la Festa dell’Unità o cose cosi, non ricordo bene. Prima di presentarci all’evento facemmo un salto nella chiesa del paese. Una mia amica cercò di convincere il sagrestano a farle suonare l’organo. Niente da fare. Sta di fatto che andammo a suonare e, sul secondo pezzo, davanti al palco, passò il sagrestano. Cercammo di tirarlo in mezzo, ma si limitò a sorridere. C’era anche un vecchio che mi urlava addosso mentre cantavo perché non capiva niente di quello che stavo dicendo. Ho suonato talmente forte che mi si è aperto un dito. La serata poi è continuata liscia, e con quel vecchio abbiamo fatto amicizia. Niente scoop, purtroppo.
Mi ci avevi quasi fatto credere…
Andiamo oltre, dunque. Perché proprio il folk? Cosa ti ha catturato maggiormente di questo stile musicale?
Ho due dischi su tutti con cui sono cresciuto: il “Best Of” di Lucio Battisti e il “Best Of” di Bob Dylan. Quando ripresi in mano quello di Bob Dylan a sedici anni mi distrusse. Piansi davvero tanto su “Like a Rolling Stone” e quando un mio amico un anno dopo mi dedicò “Mr. Tambourine Man” mi rese mega orgoglioso. Da lì poi sono arrivati The Tallest Man on Earth, Passenger, The Lumineers, Vance Joy, Mumford & Sons e così via. Ora però devo ammettere che il folk mi ha stancato. Lo ascolto più raramente e per poco tempo. So però che nel folk trovai quella magia di riuscire a parlare delle cose più quotidiane del mondo in una maniera talmente poetica da far sembrare tutto quasi surreale, come un sogno pazzesco.
Da quali artisti George Herald ha tratto la sua ispirazione per essere ciò che è oggi?
Vi faccio una top 5 ever: Bob Dylan, Ed Sheeran, Gus Van Sant, Jack Kerouac, George Best.
Possiamo dire che la tua avventura inizia con il tuo EP “Per tutto ciò che vale”? È un ricettacolo di esperienze e storie di vita vissuta? Svelami la sua essenza.
Sono tutte cose che mi sono successe. Non so parlare di nient’altro al di fuori di me. Penso che la sua essenza sia semplicemente quella di guardare tutto quello che mi capita a tiro senza filtrare niente. È una questione di tenere gli occhi ben aperti.
Da poco è uscito il video di “Berlino”. Perché proprio questa città? Cosa ha di così importante per essere cantata con note d’amore e odio?
Ragazzi, Berlino è assurda. Ci sono cosi tante cose da fare, posti da vedere, gente da conoscere. Poi la lingua tedesca mi piace un casino. Non la capisco e non la parlo, ma sentirla mi diverte tantissimo. Il Muro è la cosa più bella che io abbia mai visto. Il club sono un’esperienza mistica da provare. Il kebab di Mustafa ti fa commuovere.
Hai aperto i live di nomi importanti come Stu Larsen, Lewis Watson e Ryan Keen. Cosa ti è rimasto dentro di queste esperienze? Hai un beniamino al quale desideri aprire un concerto?
Quando suonai al Biko con Ryan Keen mi ricordo che mi disse che stare in tour non è così figo come sembra. Non era riuscito a vedere niente: solo alberghi, locali e aeroporti. Mi ricordo di aver pensato: «Che figata!». Sta di fatto che per ora il mio sogno è quello di aprire i concerti dei The World is A Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die. O quello di Gemitaiz, è uguale.
Adesso cosa farai? Hai già qualche nuovo brano pronto a essere sfornato?
Proprio in questi giorni ho chiuso un nuovo pezzo che si chiama “Castagne”. Sto scrivendo nuovo materiale con l’idea di registrare un disco. Con una band magari. O con un’orchestra, dei cantanti lirici, non lo so.
Non capisco mai quando posso prenderti sul serio oppure no, quindi non ci penso e ti faccio un’altra domanda. Come vedi il folk, e il cantautorato in generale, in Italia? A quali compromessi saresti disposto a scendere per il successo?
Nel folk vedo che qualcosa si muove. Ad esempio vedo The Leading Guy che fa musica molto bella e mi piace un sacco. Per quanto riguarda il cantautorato italiano in generale, secondo me è un periodo bellissimo. C’è un sacco di materiale da ascoltare e artisti da scoprire che praticamente ogni venerdì passo le ore a vedere cosa è uscito di nuovo su Spotify. Per il successo non penso ci sia bisogno di compromessi. Io suono, urlo, mi diverto e scrocco da bere ai locali. Quello che viene dopo è tutto grasso che cola, no?
Non avrei saputo dirlo meglio!
George Herald, ti ringrazio per essere stato con me. Se un giorno andassi a Berlino, giuro che ti penserò tantissimo. Le ultime righe sono per te, saluta i lettori come preferisci!
Ciao lettori di Music.it, divertitevi sempre. State attenti alla linea, e bevete il giusto. Soprattutto, spero abbiate fatto i regali di Natale alle persone che vi vogliono bene, o anche a quelle che vi vogliono male. Un bacio.