Diamo il via all’intervista di Giacomo Baldelli con una storia, per conoscerlo meglio. Raccontami un aneddoto legato alla registrazione del tuo ultimo disco. La cosa più strana che ti è successa in studio, magari.
Forse la cosa più strana è che uno studio di registrazione non c’è stato. Per una questione di controllo globale sul progetto ho deciso di registrare tutto l’album in completa solitudine. Le location che ho scelto sono state le più diverse: chiese, aule di scuola, sale prova insonorizzate (e non) sparse in giro per New York. Ma anche la mia camera da letto e perfino un armadio.
Come nasce la tua passione per la musica e il conseguente studio di essa, in particolare per gli stili moderni?
Mi sono iscritto al conservatorio di Reggio Emilia a 7 anni e da lì è partito tutto. Ma è stato certamente il mio incontro con Claudio Piastra, mio insegnante di chitarra dal 1998 fino alla laurea, che mi ha spinto a provare a fare il musicista nella vita. La scelta di votarmi alla musica d’avanguardia o contemporanea, che dir si voglia, è legata alla mia città, che ha una storia importante in questo senso. Storia che ha mi ha affascinato sin da ragazzo fino a plasmare, in parte, il mio gusto musicale.
Nel tuo album ci sono riferimenti alle sonorità dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin. Quali sono gli artisti che Giacomo Baldelli considera di maggior ispirazione per il suo lavoro?
Credo che se dovessi elencare tutti gli artisti che hanno influenzato e continuano ad influenzare il mio lavoro, potremmo perdere giornate a completare la lista. Fin da bambino mi sono sempre considerato un onnivoro di musica, curioso nello scoprire autori, interpreti e generi musicali. Senza mai nascondere la mia passione sia per quella musica che definiamo spesso ed erroneamente classica. O con un termine ancor più offensivo, a mio parere, colta. Sia per generi più legati alla popular music. E non nascondo che, talvolta, questo mio considerare tutti generi sullo stesso piano, mi ha recato problemi, specialmente nel mondo accademico. Penso poi che musicalmente si viva di innamoramenti che si succedono a seconda dei propri vissuti personali. Si va, diciamo così, a periodi.
Citami quelli più importanti, tanto per dare un’idea più specifica ai meno avvezzi.
Se dovessi citare gli artisti che hanno formato il mio background musicale, citerei sicuramente: Sting, Heitor Villa-Lobos, Queen, Roland Dyens, John Cage, Prince, Paul McCartney, Toru Takemitsu, Brad Melhdau, John Williams (chitarrista), Pink Floyd, Steve Reich, Eric Clapton, Radiohead, Fausto Romitelli, Bluvertigo. Tanto per citare i primi che mi vengono in mente. In questo momento sono assolutamente catturato dalla musica del mio amico compositore Eric Wubbels e dall’ambient di Brian Eno che ho scoperto a fondo, ahimè, solo un paio di anni fa.
So che negli ultimi anni hai vissuto a New York. Parlami della differenza culturale in ambiente musicale che hai percepito, rispetto all’Italia.
Domanda difficile, anche perché New York è un mondo a parte anche rispetto al resto degli Stati Uniti, non solo rispetto all’Europa e all’Italia. Sicuramente il fermento artistico di questa città è molto più intenso di quello di cui abbia mai avuto esperienza in Italia. C’è molto dinamismo e voglia di rischiare. E tutto questo credo che non possa fare altro che giovare alla cultura in generale. Ma poi, anche qui si possono trovare le stesse problematiche che si trovano ovunque, resistenze a spingersi oltre. Accade anche qui, soprattutto in ambito accademico.
Possiamo affermare che la tua permanenza negli Stati Uniti sia stata la maggiore fonte di ispirazione per “Electric Creatures”?
Sicuramente sì. Non credo che avrei mai fatto un album come “Electric Creatures” se non vivessi a New York. Il mio trasferirmi mi ha portato a conoscere un numero infinito di performer, compositori e appassionati di musica tutti figli di un background musicale diverso dal mio. Un background più legato alla musica minimal e sperimentale, cosa di cui raramente avevo avuto esperienza in Italia. Vivere qui per me è stato motivo di studio profondo, di ricollocamento dei miei punti fermi, musicalmente e non. Anche il quasi totale abbandono della chitarra classica in favore dello strumento elettrico è senz’altro dovuto al nuovo percorso artistico che ho iniziato qui.
“Electric Creatures” è un album che ho trovato particolarmente difficile da interpretare.
È stato un progetto di lunga gestazione. E non parlo solo della produzione e della registrazione. Prima di questa fase ho passato più di un anno alla ricerca dell’idea di fondo, dei brani giusti, a commissionare nuove composizioni, a lavorare con i compositori, a provare strade e talvolta a cambiare direzione. Se lo volessimo categorizzare in un genere, come so che per comodità si dovrebbe fare, posso dire che è un album di musica contemporanea/avanguardia, ma aperto a sonorità e atmosfere proprie di rock, pop e ambient.
Come vorresti che fosse interpretato dall’ascoltatore il lavoro di Giacomo Baldelli?
Se da un lato è forse difficile per me spiegare cos’è, è invece chiaro come vorrei che questo album fosse percepito. Vorrei che fosse considerato un album complesso, ma comunque accessibile a chi voglia ascoltarlo con attenzione. Vorrei che l’ascoltatore arrivasse ad ascoltarlo e riascoltarlo, così come si fa con un disco rock o pop. Perché no, anche ad ascoltarselo in auto mentre guida. Mi piacerebbe che l’addetto ai lavori nell’ambito della musica contemporanea, il performer o il compositore non lo releghino brutalmente nel vascone dell’easy listening, mentre l’ascoltatore normale non ne sia spaventato, ma si incuriosisca. Credo sia un album che corre su quel sottile filo che divide la musica contemporanea e d’avanguardia dalla sperimentazione rock.
Tra le tue creature elettriche, di certo “Two” è una di quelle che mi ha dato più da pensare. Come dovrebbe essere interpretato il pezzo singolarmente?
Questa versione di “Two” è la seconda versione del brano. L’originale, del 2015, era stata prevista dal compositore Ryan Pratt come un brano per solo chitarra elettrica. In seguito abbiamo deciso insieme di provare ad aggiungere una traccia, creata dal suono campionato della mia chitarra. È questo il bello di lavorare a stretto contatto con i compositori: si diventa parte integrante del processo creativo. Avevo semplicemente detto che avrei voluto ricreare delle atmosfere come quella di “Thursday Afternoon” di Brian Eno o della soundtrack di “Blade Runner”, utilizzando un suono vicino a David Gilmour. Lui ha preso queste idee e le ha coniugate alla profonda ricerca sui suoni armonici che sta portando avanti da anni. Mi è stato detto da una spettatrice di un mio concerto che dentro si possono trovare anche echi della colonna sonora de “I segreti di Twin Peaks” cosa che personalmente mi ha fatto un immenso piacere!
Sono molte le partecipazioni a questo lavoro. Come sono state le collaborazioni? Hai trovato qualche tipo di difficoltà?
Il lavoro con i compositori è stato straordinario e tutti sono stati incredibilmente aperti ad ascoltare le mie idee sulla loro musica. Al di là di Jacob TV, che non ho mai incontrato di persona, tutti gli altri compositori hanno lavorato a stretto contatto con me. Da Ryan Pratt che ha passato ore in sala prove con me, a Nick Norton che è volato da Los Angeles più volte solo per lavorare al suo pezzo. Da Eve Beglarian che mi ha ospitato nel suo studio dove si alternava il lavoro a chiacchiere su politica e diritti umani, ad Andrea Agostini che si è fidato ciecamente di ogni mia scelta. Posso dire aver vissuto momenti bellissimi. Senza dimenticare la preziosa presenza di Kate Soper, che ha accettato di partecipare solo in nome della nostra amicizia. Inoltre vorrei citare Alessandro Grisendi senza il quale il disco non avrebbe il suono che ha.
Credi che “Electric Creatures” possa essere il trampolino di lancio per una nuova concezione di musica moderna?
Mah, non lo so. Sarebbe presuntuoso pensarlo, soprattutto perché altri prima di me si sono mossi in questa direzione. Forse sono stati più i musicisti del versante rock a spingersi verso l’avanguardia che non viceversa, ma gli esempi e i modelli da seguire di certo non mancano. “Electric Creatures” è solo il mio contributo alla causa, dove ho cercato, al massimo delle mie possibilità, di coniugare complessità e profondità compositiva con un certo grado di messaggio. Comunicabilità propria della musica rock, pop e ambient. Spetterà al pubblico farmi capire se ci sono riuscito.
Grazie ancora a Giacomo Baldelli per averci concesso un po’ del suo tempo. Saluta i nostri lettori come meglio credi!
Credo di essermi dilungato già troppo con le mie risposte! Grazie a tutti, allo staff e ai lettori di Music.it per l’ospitalità. È stato un vero piacere!