Diamo il benvenuto ai God of the Basement! Sentite, ho proprio voglia di curiosare sulla scelta fatta per il nome, molto particolare, del gruppo. Qual è l’arcano?
L’arcano da svelare non è nient’altro che il racconto di una notte di qualche anno fa. Io ed Enrico ci trovavamo attorno ad un tavolo di una warehouse dell’East-London, con diversi amici a parlare del più e del meno. A un certo punto, siamo stati colpiti da un vuoto di memoria. Non ricordavamo più la traduzione inglese della parola diavolo. Così in un tentativo di risalire a questa parola ci siamo lanciati nella traduzione maccheronica God of the Basement. All’epoca non suonavamo ancora insieme, ma questo nome fu appuntato subito su un pezzo di carta. Avevamo trovato un qualcosa che alle nostre orecchie suonava davvero bene, un nome interessante per una band. Qualche mese più tardi, di rientro in Italia, i God of the Basement hanno iniziato a prendere forma.
Tra seminterrati e vari luoghi che avete girato, avete sicuramente vissuto diverse esperienze. Raccontatemene una! La più esilarante, che non avete mai detto ad anima viva. O morta.
In effetti abbiamo girato molti posti stimolanti e bizzarri dove siamo capitati in situazioni particolari. Capisco la curiosità di voler conoscere una nostra esperienza segreta, purtroppo non possiamo soddisfare questo desiderio. La nostra prima regola si rifà a quella del Fight Club!
Ascoltandovi si evincono decise note groove, infiltrazioni elettroniche e black humour! Quali artisti vi hanno ispirato e permesso di costruire la vostra identità?
Sono molti gli artisti dai quali prendiamo ispirazione. Per citarne alcuni: Beck, Beastie Boys, Gorillaz, Queens of the Stone Age, David Bowie. La lista potrebbe essere molto più lunga e varia di così. Ma penso che questi racchiudano l’essenza della direzione che abbiamo preso attualmente.
God of the Basement è proprio il nome che avete dato al vostro primo album. È ciò che vi rappresenta? Un po’ come la creatura di Frankenstein che prende il nome dal suo creatore?
Esattamente. Abbiamo pensato che il primo album non dovesse avere nessun altro nome se non il nostro. Si tratta di una presentazione e dunque dichiarazione di intenti. Come il mostro di Frankestein, questo primo album è un molteplice collage di influenze, visioni e suggestioni. Quest’ultime costruiscono un essere piuttosto definito nel complesso, al quale un fulmine ha dato vita. Nella copertina dell’album il viso del soggetto è spaccato da una crepa, che può essere immaginata anche come una forte scarica elettrica.
Il vostro album omonimo è un lavoro bello ricco di ben 13 tracce. Avete riscontrato difficoltà nel tirar fuori tutto questo materiale?
Fortunatamente non abbiamo riscontrato difficoltà, anzi. Avevamo molto più materiale di quello che abbiamo poi inserito nell’album. In certi casi non è stato facile prendere una decisione. Comunque pensiamo che queste 13 tracce siano le migliori che ad oggi potevamo proporre.
Il singolo che ha anticipato l’uscita è “With the lights off”. Un pezzo disco funk che vira verso il cupo, in collaborazione con Francesca Pichel alla voce. Perché avete scelto lei e proprio questo brano come singolo?
Francesca è una bravissima cantate e attrice internazionale dalla voce raffinata. Abbiamo avuto l’occasione di conoscerla tramite dei cari amici. Cercavamo una voce femminile per il ritornello di “With the lighs off”, e alla nostra proposta di collaborare fortunatamente si è resa subito disponibile. Ed era proprio quello che stavamo cercando. La decisione di usare questa canzone come nostro primo singolo è data dalla sua orecchiabilità. Volevamo subito catturare l’attenzione degli ascoltatori e le sue caratteristiche ci sono sembrate le migliori.
Nel videoclip ho notato che non vengono mai mostrati i vostri volti, se non per qualche frame. Mi è tornato in mente il video degli Slipknot “Before I Forget”…
Le influenze stilistiche del video sono state molte. La scelta di non mostrare le nostre facce tende a citare velatamente proprio la copertina del disco. Abbiamo voluto concentrarci su una serie di dettagli su cui giocare meglio ritmicamente nel montaggio, anche attraverso l’espediente dell’effetto specchio che crea forme bestiali e demoniache. Lo scopo principale di questo video mira a rappresentare visivamente il pezzo stesso, la sua melodia, il ritmo, il groove.
Avete campionato battute cinematografiche in varie canzoni. C’è un film in particolare per il quale avreste voluto scrivere la colonna sonora?
Bellissima domanda. Curare la soundtrack di un film sarebbe una fantastica sfida per ogni musicista. Potremmo rispondere con un qualsiasi film di Quentin Tarantino, un maestro nella scelta delle colonne sonore.
Ora che il vostro album è uscito, cosa farete? Sentiremo presto nuovi singoli o siete già tornati nelle sale prova nel seminterrato?
Sì, finalmente il nostro album è uscito, e dopo due anni di gavetta siamo riusciti a concretizzare la nostra idea di musica, il nostro progetto. Questo è un punto di partenza. In cantiere ci sono molte cose, il video per il prossimo singolo è una di queste. Ora però abbiamo fame di live. Stiamo lavorando proprio su questo, per portare la nostra musica in giro per l’Italia e chissà, magari anche fuori.
È stato un piacere smascherare alcuni dei rituali dei God of the Basement! Qualcosa mi dice che non ne uscirò illeso, vero? Avete le ultime righe per salutare i lettori come preferite!
Salutiamo tutti con un citazione, 10 punti a chi la riconosce:
“I come from down below,
you know,
further down,
I represent the devil,
You know,
The devil”.