GUIDO E FAIT: "Volevamo dare una mano a chi stava rischiando la vita".
La formazione del Guido & Fait Quintet.
La formazione del Guido & Fait Quintet.

GUIDO E FAIT: “Volevamo dare una mano a chi stava rischiando la vita”.

Ciao Mirko Fait ed Elisabetta Guido! Noi di Music.it siamo un po’ abitudinari. È consuetudine iniziare le nostre interviste chiedendo un aneddoto, un episodio divertente accaduto durante le vostre esibizioni. Cosa ci raccontate?

Mirko Fait: Per noi, ogni volta è un’occasione per divertirsi. Amiamo il nostro lavoro e lo facciamo con gioia, poi gli aneddoti nel jazz sono sempre tanti. Come quella volta che andando a suonare con un pianista molto conosciuto, fermandosi a un Autogrill ed essendo vestito in modo eccentrico, la cassiera lo fissava mentre era in fila. Arrivato il suo turno, il pianista disse: ebbene sì, sono io, snocciolando il suo nome, ma la faccia della cassiera la diceva tutta sul fatto che non sapesse chi fosse, se non il solito matto in gita. Scoppiammo a ridere per parecchio tempo.

Il vostro duo, la vostra collaborazione comincia proprio grazie al lockdown. Chi ha cercato chi? E come è stato comunicare tra schermi di pc?

Elisabetta Guido: In realtà la nostra collaborazione è nata qualche anno fa. Io cercavo una città che mi desse degli stimoli diversi, una realtà aperta al jazz, gente che avesse la cultura musicale adatta ad apprezzare le mie composizioni. E devo dire che ho trovato subito in Mirko un interlocutore perfetto, una bella persona prima di tutto, innamorato del jazz come pochi e che soprattutto aveva un sound che si sposava perfettamente, con le mie composizioni, sembrava intuisse subito quale fosse la mia intenzione e la metteva in pratica. Ed io ho avuto altrettanto piacere a suonare le sue composizioni, molto belle e particolari e che mi hanno dato la possibilità di realizzare il mio sogno di usare la voce come “strumento”, perché nel suo quintetto io funziono da “strumento”.

Una comunicazione prima reale che digitale quindi…

E: Ora accade che, lockdown a parte, io salga a Milano ogni due o tre mesi per suonare con lui e gli altri bravissimi musicisti che ci accompagnano. Abbiamo fatto insieme concerti in locali, jazz club, jazz festival anche con special guest come Flavio Boltro. E poi c’è questa cosa bella di Milano che nei jazz club vedi la stessa attenzione e calore che hai nei teatri. Bello, davvero grazie Milano e grazie Mirko Fait.

M: Grazie a te Elisabetta, non posso aggiungere altro se non che per me è stata dura comunicare attraverso lo schermo. Per me l’interplay che si crea nei live è magico. È stato più difficile crearlo a distanza.

Insieme avete realizzato un’elegantissima e intensa versione di “What a wonderful world” di Louis Armostrong per omaggiare la Croce Rossa Italiana, fondamentale aiuto e presenza durante il picco della pandemia. Un brano così celebre, così conosciuto che non finisce mai di emozionare. Come è nata la vostra versione? Libera ispirazione oppure attento studio e analisi dell’originale e delle sue molteplici cover?

E: Volevamo dare una mano, come artisti, durante il lockdown, sentirci vicini a chi stava rischiando la vita per dare aiuto agli altri. Abbiamo individuato nella Croce Rossa Lombardia una causa ideale a cui dedicarci e Martino Vercesi, il nostro chitarrista, ha pensato di realizzare una nostra versione riarrangiata di “What a wonderful world”. Certo è stata una vera piacevole sorpresa per noi che scegliessero il nostro lavoro per addirittura il video riassuntivo dell’attività di Croce Rossa Lombardia nel periodo più buio della pandemia. È stato un onore per noi.

M: La scelta del brano non è stata casuale, volevamo dare un messaggio di speranza. Il resto è stato un lavoro di squadra, con la bellissima sostituzione di accordi di Martino Vercesi. La melodia è la stessa, ma sotto c’è un mondo tutto diverso.

Insieme a voi, la formazione per la realizzazione del brano è composta da Martino Vercesi alla chitarra, David Cason al contrabbasso e Giorgio Vogli alla batteria. Quanto è stato difficile coordinarvi tutti quanti a distanza?

E: Non è stato affatto complicato. Quando si è fra professionisti del jazz si è abituati alla jam, all’interplay, all’adattarsi al sound e all’intenzione altrui. È bastato scegliere l’ordine giusto di registrazione e poi ascoltare in cuffia e adattarsi. Grazie anche al senso del ritmo che abbiamo tutti e cinque. Per migliorare il video ci ha dato una mano Maurizio D’Anna di Cameralight e per l’audio Nico Carone di Peppermind. Per l’ufficio stampa Ugo Stomeo di Hit Non Hit Press. Insomma un bel lavoro di squadra. A breve faremo uscire il video completo sui social, cioè senza le immagini toccanti di Croce Rossa.

M: Vedendo il video completo sembra tutto facile, ma c’è tanto lavoro dietro, per rendere tutti i suoni equilibrati.

Entrambi provenite dall’ambiente jazz, mondo dove l’improvvisazione libera è di casa. In questo momento di ripresa per piccoli concerti avete avuto modo di poter ritrovare il contatto con il pubblico? Oppure siete ancora in fase di progettazione musicale?

E: No, in realtà Mirko ha già ripreso a suonare da un po’ nei live. Io non mi sono potuta muovere da Lecce, ma a settembre riprenderò, dopo che curerò la direzione musicale del Premio “Il Sallentino” e del Premio “E’ donna”, a salire per suonare con Mirko Fait.

Abbiamo degli appuntamenti a settembre con una rassegna curata da “Cernusco Jazz” al Mare Culturale Urbano di Milano e in alcuni Jazz Club a fine ottobre, con una serie di concerti per il JazzMi Festival, curato da Ponderosa Music, sempre a Milano.

M: È stata una grande emozione suonare su un palco dopo quattro mesi di chiusura totale. Questo periodo a me è servito per preparare brani nuovi, studiare e riflettere.

Siete entrambi due artisti che hanno fatto della musica passione e studio. Mirko Fait, fra i mille impegni, ha curato la direzione artistica dell’“United Jazz Artists of Milan” mentre Elisabetta Guido ha pubblicato il manuale di tecnica vocale di “Il canto moderno occidentale di origine afroamericana”. Quante soddisfazioni regalano la tecnica e l’impegno nella resa artistica?

E: Io sono stata da sempre innamorata della tecnica vocale (studio ogni mattina) e ho approfondito la conoscenza di anatomia e fisiologia dell’apparato vocale. Ho elaborato un mio metodo vocale, il metodo RSN (Resonances), che al suo interno contiene una parte dedicata alla “tecnica della body voice afroamericana”, su cui ho scritto specificamente come trasformare una voce “bianca” in una voce “black”.

M: Ho fatto sette album di musica originale, dei quali l’ultimo è “Confidences”, e 25 album di una collana di 40 per la meditazione. Ho e ho avuto la direzione artistica di numerosi locali, ma per me la soddisfazione più grande è esprimere le proprie emozioni con la musica. Tutto il resto viene da sé.

Tornando alla vostra cover tributo “What a wonderful world” per la Croce Rossa Italiana, immaginatevi di essere in una classe di scuola elementare e provate a spiegare il messaggio e il senso di questo pezzo.

E: Qualunque cosa brutta accada, anche inaspettata e terribile come la pandemia che stiamo vivendo, val la pena di vivere la vita. Anzi la privazione della libertà che abbiamo provato ci deve insegnare a godere di ogni piccolo attimo felice o sereno. E che la felicità è nelle piccole cose.

M: Non poteva dirlo meglio Elisabetta. Posso solo aggiungere: viviamo in un mondo meraviglioso, dobbiamo averne cura.

Bene, la nostra intervista è conclusa. Mirko Fait ed Elisabetta Guido grazie per essere stati con noi. A presto!