Benvenuti Hidden Lapse, è davvero un piacere avervi qui. Seguendo la nostra tradizione, vi chiedo di raccontarmi un vostro ricordo legato alla musica, che sia la vostra o che sia la musica in generale.
M: Piacere nostro innanzi tutto! Ricordi… in musica è difficile focalizzare un’unica immagine, gli aneddoti sono molti. Curiosamente, nonostante il percorso legato al rock-metal sia quello più longevo e senz’altro più concreto, non manco mai di scontrarmi un po’ coi ricordi dei primi anni di musica, quando eravamo idealizzati nel nostro piccolo paesino come pianisti provetti. Gli atroci rimproveri delle mie insegnanti cui, mio malgrado, oggi devo tutto.
Il terrore di ogni alunno.
Anche quando dovevo concentrarmi su Bach e mi presentavo con dei simpatici estratti degli Iron Maiden, provocando non poco disagio negli occhi dei poveri spettatori del saggio di fine anno. Quegli anni di ferro e pura accademia che detestavo, mi hanno comunque fornito forza e perseveranza. In linea generale, ricordo (e cerco di rievocare quando compongo tutt’ora) quei momenti in cui si cercava di creare bei pezzi nel contenuto, piuttosto che nella forma, e l’eccesso di forma è forse l’unico elemento di disturbo indigesto di quegli anni trascorsi sulla tastiera del piano.
Quali sono gli artisti che hanno influenzato il vostro percorso musicale?
M: Senz’altro decisivo il connubio tra il riffing velenoso e titanico del metal dei ’90, quindi Nevermore, Opeth, Soilwork, In Flames, e il power di quegli anni, Sonata Arctica, Blind Guardian. L’influenza progressive di Dream Theater e Symphony X è massiccia, anche se poi non tutto si riflette in quel che scrivo per gli Hidden Lapse. Apprezzo il rock/metal su vari livelli, dall’approccio catchy/folk dei Temperance, a quello più oscuro dei Collibus, così come amo la musica più malinconica di Evergrey, DGM, Secret Sphere. Alla fine cerco di prendere il meglio di quel che tutti questi maestri mi hanno trasmesso, cercando di non emulare nessuno.
Da poco è uscito il vostro ultimo album: “Redemption”. Parlateci di come nasce il progetto.
M: In realtà “Redemption” nasce da una lunga serie di tentativi, pre-produzioni e persino scontri. Io e Romina abbiamo iniziato a lavorare, come da copione, in un garage. Da lì, grazie a molta pazienza e un vecchio pc, sono emersi i primi input che poi, anni dopo, avrebbero rappresentato le fondamenta degli Hidden Lapse come sono ora. Il filo conduttore è senz’altro il desiderio di narrare storie oniriche attraverso episodi di vita reale, lasciando che musica e parole contribuiscano equamente a produrre il risultato finale. L’idea è sempre stata quella di giocare con un approccio al riffing articolato e violento, affiancato da melodie intangibili ed eteree, da qui la necessità assoluta di avere la voce di Alessia. “Redemption” è il primo gradino di una lunga scala che vogliamo percorrere e che già si delinea con nuovi pezzi, fatta di costante evoluzione, ma anche del sound su cui abbiamo lavorato duramente, in cui cerchiamo di evidenziare con forza il contrasto tra violenza e melodia.
Il lavoro in studio è sempre divertente ma altrettanto faticoso. Quali difficoltà avete trovato durante questo periodo di registrazione? E cosa consigliereste a chi ha intenzione di affrontare un lavoro simile?
M: Devo ammettere, un lavoro titanico, a tratti grottesco. “Redemption” è un disco praticamente autoprodotto, registrato e mixato in home recording e poi passato sotto le sapienti mani di Max di Evolution Lab per il mastering. Ho dovuto adattarmi, re-imparare software e trucchi del mestiere (grazie ovviamente ai consigli e al sostegno di validissimi esperti). La fatica è stata immensa, specie in quelle fasi in cui hai le parti, ma non riesci a far quadrare il sound (che non è tanto un concetto di produzione, quanto di stile e anima). È lì che abbiamo investito moltissimo tempo.
Tempo ben speso!
Non siamo stati neanche troppo fortunati, viste delle difficoltà individuali capitate proprio nei periodi caldi, in cui avremmo voluto chiudere il lavoro e andare avanti. Alla fine, senza un batterista di ruolo uscito a metà corsa, con qualche problema personale e persino la (consentitemi) sfiga di un problema tecnico in fase di mix, siamo riusciti a presentare un buon lavoro e fortunatamente Rockshots ci ha dato la possibilità di farlo ascoltare. Un disco che ho scritto in un periodo di 4 mesi è uscito dal cantiere dopo quasi 2 anni. Le difficoltà insegnano molto e, ora lo sappiamo per certo, fanno parte del gioco.
Sicuramente ora starete promuovendo l’album. C’è in progetto un tour?
M: Il disco è appena uscito, per ora ci concentriamo sulla promozione virtuale, considerando anche l’ingresso di Alessio in pianta stabile alla batteria. Abbiamo esordito con un release party di spalla ai mitici Metatrone e ci prepariamo ad altre date cui stiamo lavorando con Rockshots. Tenete d’occhio le nostre pagine.
Un’ultima domanda. Cosa pensate della moderna scena nazionale? Credete che in questi tempi i paesi esteri possano offrire maggiori possibilità ai gruppi come il vostro?
M: È un discorso spinoso. L’Italia ha una storia prestigiosa che continua a donarci grandi emozioni: DGM, Trick or Treat, Secret Sphere e Temperance sono ottimi esempi da seguire. Curiosamente, questi ottimi musicisti trovano spesso maggiore visibilità in posti lontani, ma non insospettabili, come Giappone, Inghilterra, Francia. Luoghi in cui il rock è radicato nella cultura popolare. È difficile fare un discorso del genere senza cadere nella retorica, ma a stringere, se analizzi bene la scena, il metal in Italia è e resterà a lungo un prodotto underground. Ci sono ottime testate, etichette oneste e tanti festival, ma non si riesce mai a compiere quel passo che consenta davvero agli artisti del genere di sentirsi a casa, soddisfatti del proprio lavoro.
La cara e vecchia meritocrazia.
Basti vedere la fuga di band come Rhapsody of Fire. Guardando al presente, ci sono molte band (più o meno recenti) che alimentano il panorama, cui speriamo di contribuire un po’ anche noi. A volte viene il dubbio se valga o meno la pena insistere o semplicemente guardare oltre. Detta onestamente, a noi piacerebbe molto essere apprezzati anche in Italia, ma senz’altro ci sono realtà neanche molto lontane ben più appetibili e alle quali tenderemo la mano, per usare un eufemismo.
Vi ringrazio di essere stati con noi, e se volete potete aggiungere qualcosa.
M: Ti ringrazio per averci concesso questa opportunità. Aggiungo soltanto un po’ di retorica, che a quanto pare non è mai abbastanza: supporto. Che si tratti di testate, di band blasonate o di artisti emergenti, l’unico sistema per potersi affacciare su panorami più complessi senza impallidire è darsi una mano a vicenda. Io l’ho sempre fatto personalmente, nei limiti delle mie possibilità. A volte basta un link, un repost, o persino un like per aiutare altre band a uscire dalla fossa generalista. Sarebbe bello avere sempre spazi come quello che ci hai concesso per potersi raccontare e promuovere. E sarebbe ancora meglio se le metal band underground si raccontassero a vicenda.