I Begbie aprono il loro EP d’esordio, rigorosamente autoprodotto, con un campionamento cinematografico. Per chi non avesse ancora visto “Trainspotting”, film del 1996 diretto da Danny Boyle, è giunto il momento di correre ai ripari. Un campionamento lungo quanto l’intro di “Play Hard”. Chissà se Dario Rossini e Nicola Girelli, rispettivamente chitarra e batteria, sentono di condividere qualcosa dello stravagante personaggio della pellicola tratta dal romanzo di Irvine Welsch.
Per rinfrescare la memoria agli altri, Begbie è quello che va ignorato pena essere trascinato nel suo mondo fatto di nemici immaginari. Piuttosto che affrontare la realtà, ne crea una in cui sa vivere senza soccombere. Anche la cover evoca gli effetti della rabbia di Begbie, che ha come transfert Vinnie Jones che evidentemente sta infliggendo sofferenza ai testicoli di Paul Gaiscogne. Con questo battesimo il duo lombardo vuole lanciare un messaggio potente. Non lo verbalizzano, piuttosto lo armonizzano.
I Begbie, come l’omonimo di “Trainspotting”, “Play Hard”, giocano duro e veloce
Oppure suonano, ma in modo elegante seppur aggressivo. Non curano le infiammazioni con il Gentalyn. Non c’è bisogno di stupore in cui annegare le sensazioni. Le rappresentazioni della realtà di Dario Rossini e Nicola Girelli sono nitide. Le cinque effettive tracce di cui si compone l’EP di esordio dei Begbie compongono a tutti gli effetti un concept, accompagnando gentilmente le reazioni del personaggio. Le canzoni sono agganciate l’una all’altra in soluzione di continuità.
Quello di “Play Hard” è un viaggio all’interno dello spirito dell’avatar che si sono scelti. Un percorso interiore svolto attraverso una certa nostalgia per gli anni ’90 che si rivela nell’amore per il rigore del mathrock. Lasciano da parte, infatti, ogni barocchismo effettistico del post rock. Non disdegnano l’essenzialità dell’hard rock, strizzando l’occhio al metal. Una sinusoide che, invece di allontanarsi e sfuggire all’orizzonte, si avvita nelle profondità della bestia, liberandola.