Gli abbruzzesi Bloody Souls rilasciano il loro primo album “The Devil’s Hole”. Un concentrato di hard rock, doom e stoner metal, che batte territori già ben conosciuti e collaudati. E lo fa con la noncuranza tipica della migliore tradizione rockettara. I Bloody Souls fanno la musica che gli è sempre piaciuta, e chi se ne frega del resto. Questo atteggiamento di partenza dà origine a un album fluido, incattivito ma non appesantito dalle influenze doom, abilmente amalgamate a una base hard rock che risulterà familiare agli appassionati del genere, sebbene magari un po’ manierista. Le tematiche sono quanto di più classico ci si possa aspettare da un lavoro di questo tipo, spaziando tra morte, demoni, morte, oscurità, morte, e qualche altro demone tanto per essere sicuri di non essere capiti male.
Sospesi tra rock e doom, i Bloody Souls rilasciano il loro album d’esordio “The Devil’s Hole”
La voce raschiante ma mai growlata di Johnny Hell (al secolo Giovanni Liberatoscioli, voce e chitarra) fa un buon lavoro nel calarci in un buio antro di sangue e zolfo, variando i toni da un sordo e basso ringhio a toni più clean. La title track “The Devil’s Hole” apre l’album e non a caso è stata scelta come singolo. Esemplifica fin da subito ciò che la band vuole fare. Ritmo medio e pesante al punto giusto, con forti venature doom/stoner, coronati da un luciferino assolo hard rock. Segue “Bloody Souls”, incedendo lenta e doomeggiante per poi aprirsi in un finale metal poghereccio, che si farà apprezzare in uno scenario live. “Madhouse” non fa altro che confermare la formula delle due tracce precedenti, per poi lasciare il campo alla malevola “Solve et Coagula”. Questa è una sorta di inno perverso al Principe delle Tenebre, che zoppica un po’, a dire il vero, a livello di testo. Il comparto strumentale regge meglio qui, pur non sorprendendo particolarmente.
“The Devil’s Hole” ha una commistione che funziona, sebbene a volte pecchi di guizzi compositivi
“Living in Darkness” assume un tono più epico, lento e cupo, rappresentando forse il brano più pienamente doom dell’album. Continua su questa strada “Demon’s March”, pur risultando meno incisiva e più monotona. Forse il brano più debole di “Bloody Souls”, che poi si chiude sulle note di “Belphagor”. Si tratta di una cazzuta traccia epic doom metal stile Candlemass, che incede minacciosa fino alla fine dell’album. In conclusione, si può dire che l’esordio dei Bloody Souls, pur graffiato da imperfezioni espressive e creative (non guasterebbe qualche guizzo in più a livello compositivo) rappresenta un buon punto di partenza per la band abbruzzese. È consigliabile a chi è rimasto affascinato dal doom metal o dallo stoner, ma li ha trovati difficili da digerire per lentezza e pesantezza di sound. Qui sono presenti, ma “alleggeriti” da una felice commistione rock.