Nuovo album per la band norvegese dei Gazpacho, simbolo dell’ atmosferic art rock, tra psiche e coscienza, tra deliri soppressi e equilibri precari della mente. “Fireworker” è un viaggio all’interno della psiche umana, suddiviso in cinque capitoli, ma da apprezzare tutto d’un soffio, tutto in frenetica sequenza, quasi a perdifiato. I miliardi di neuroni, come racconta l’artwork della copertina, stanno ad indicare il complesso schema della nostra mente, in cui la “bestia” si nasconde, progredendo. La traccia d’apertura del disco è “Space Cowboy”. Quasi venti minuti di intricato groviglio emozionale, dove atmosfere dark si fondono a sussulti rock d’alto livello. Si racconta di una forza vitale che cresce in noi e che ci manipola sopravvivendo ai cambi generazionali, trasformando il nostro io a suo piacimento. Una frase della canzone è molto esplicita, e dice questo: «…il parassita che vive in me assassina le parole/ e respira / ci mordiamo la coda / il ciclo inizia…».
I Gazpacho, con il loro undicesimo disco, “Fireworker”, si confermano sublimi interpreti dell’art rock
Il primo singolo estratto dal nuovo album dei Gazpacho è la title track “Fireworker”, ed è il nome con cui la band idealizza quella bestia. Molto più atmosferic rock rispetto al brano d’apertura. Senza disdegnare sfuriate di chitarre dal sapore dark metal, alternate a fasi di canto quasi melodic rock. Questo per dire che se assecondi la bestia lei ti fa giocare, e ti rende felice. Al contrario, se la contrasti lei ti punisce severamente. La capacità espressiva ed il gusto verso l’arte finissima dell’idealizzazione e rappresentazione degli stati d’animo o dei fenomeni mentali fa dei Gazpacho una band unica. Difficile trovare un gruppo musicale che basa il suo lavoro sulle atmosfere e sulle emozioni, spesso derivanti dalle nostre menti sottomesse al volere della bestia. “Antique” è il resoconto di migliaia di generazioni in cui l’animale nella nostra mente non è mai stato soggiogato, progredendo, così come l’arte dei Gazpacho.
Estrema ammirazione, e profondo rispetto per una band ormai, da venti anni, riconoscibile anche tra centinaia
“Hourglass” è una bellissima opera per pianoforte. Una ballata intramezzata da parti orchestrali e splendide melodie avvolgenti, al contrario della traccia di chiusura del disco. “Sapien” prende rapidamente la predominanza, risultando molto più vivace e più accostabile a “Space Cowboy”, stupendamente chiusa da un finale maestoso, dal gusto amaramente epico. Come raccontare questo nuovo lavoro da studio dei norvegesi Gazpacho se non con estrema ammirazione, e profondo rispetto per una band riconoscibile anche tra centinaia? Non possiamo. E quindi chapeau a loro, che da anni ci trascinano in territori scuri, ma tendendoci sempre la mano aiutandoci a ritornare alla luce.