Si avverte un’urgenza, oggi più che in altri tempi probabilmente, di parlare e di far parlare del sesso femminile. Sembra che i tempi per infrangere alcuni tabù siamo finalmente maturi. La questione Donna è certamente complicata, ma non è impossibile da indagare. Non sembra più il tempo, invece, di continuare a vivere di luoghi comuni che ci riportano con un balzo al Medioevo, o giù di lì.
De “Il laboratorio della vagina” capiamo l’intenzione iniziale, il nucleo che ha fatto nascere il progetto. Purtroppo la mira non è precisa e manca il bersaglio. Lo spettacolo tenta di indagare, prima, l’importanza dell’organo sessuale femminile, la sua funzione, i suoi segreti, toccando tematiche che ormai sono abbastanza trite e ritrite. Il linguaggio usato da “Il laboratorio della vagina” è leggero e a tratti comico, ma non arguto.
Nella seconda parte dello spettacolo, senza una vera motivazione, la tematica diventa quella dell’abuso sessuale. Ma non viene semplicemente affrontato il nodo spinoso della violenza, da quella casalinga a quella subita dalle donne da parte di un nemico durante una guerra. Lo stupro viene rappresentato, come se per sensibilizzare il pubblico debba necessariamente essere messo in scena esplicitamente quello che presumibilmente accade.
Il linguaggio usato da “Il laboratorio della vagina” è leggero e a tratti comico, ma non arguto.
Il testo ci sembra confusionario e poco chiaro. C’è una forzatura nel voler emozionare e toccare le coscienze del pubblico. In realtà gli effetti ottenuti sono ben altri. Quello che dovrebbe farci ridere e sorridere lascia basiti, quello che dovrebbe scandalizzarci, invece, fa indignare. Siamo di fronte, ancora una volta, alla donna che deve essere seducente. Ancora una volta la donna si eccita troppo facilmente davanti a un calendario traboccante di addominali e spalle larghe. Che palle.
“Il laboratorio della vagina” di ammiccante ha solo il titolo e il perizoma rosso di una delle attrici – che il signore accanto a noi ha gradito non poco. Con un titolo del genere, la curiosità e le aspettative inevitabilmente si alzano. Purtroppo, però, ce ne andiamo via a bocca asciutta. Ci sfugge la finalità di uno spettacolo del genere, di un frullatore di tematiche e luoghi comuni sul mondo femminile.
Il teatro può avere anche una funzione sociale. In quel caso deve svegliare le coscienze, farci fare delle domande, tentare di cambiare la realtà essendone lo specchio. Per queste ragioni ci sembra opportuno e sacrosanto voler approfondire anche solo una delle tante tematiche proposte da “Il laboratorio della vagina”. Usciamo dall’Off/Off Theatre, invece, confusi e arrabbiati. Di certo ben lontani dall’essere rieducati al rispetto del genere femminile.