Eimuntas Nekrošius si è spento a Vilnius ieri. Proprio oggi avrebbe compiuto 66 anni. A molti lettori, persino a chi va spesso a teatro, potrebbe risultare nuovo questo nome dal suono un po’ tetro. Ma siamo certi che il regista lituano sarà fra qualche anno sui manuali di storia del teatro. Per chi non avesse avuto la fortuna di intercettare alcuni dei suoi tanti lavori passati in Italia, il suggerimento è quello di recuperare le molte interviste concesse anche a testate nostrane. Eimuntas Nekrošius è stato un artista tutto pratica e poche chiacchiere. Lavorava con la materia dell’attore, sul corpo, senza preconcetti o sovrastrutture teoriche.
Eimuntas Nekrošius è stato un artista tutto pratica e poche chiacchiere.
Formatosi a Mosca negli anni ’70, tornò poi in patria, nonostante la sua biografia renda l’idea di un’anima girovaga e cosmopolita. Il suo primo successo “Pirosmani, Pirosmani” andrò in scena nel 1984 e ottenne il plauso a est e ad ovest del tristo Muro. Tra i cimenti di quegli anni tutti ricordano le opere tratte dai lavori di Anton Čechov: “Zio Vanja”, “I Gabbiani”, “Le tre sorelle”. Proprio “Zio Vanja” e il già citato “Pirosmani , Pirosmani” hanno segnato il suo arrivo in Italia, precisamente a Parma, nel 1989. Il riconoscimento nel Belpaese non è mancato, con ben 4 premi Ubu, la direzione del “Ciclo dei Classici” al Teatro Olimpico di Vicenza, varie regie liriche al Teatro alla Scala di Milano. In questo periodo preparava “Edipo a Colono” per il Napoli Teatro Festival, che sarebbe dovuto andare in scena la primavera prossima. Negli ultimi anni si era dedicato sempre più alla didattica, basti pensare alla direzione dell’École des Maîtres.
Eimuntas Nekrošius si è spento a Vilnius ieri. Proprio oggi avrebbe compiuto 66 anni.
Quando sarà passato il lutto, spettatori, critici e collaboratori saranno chiamati allo sforzo di ricordare e valorizzare un’eredità che ha spostato la disciplina teatrale verso il polo artigianale e corporeo. Sforzo contronatura, poiché Eimuntas Nekrošius stesso ebbe a dire che “l’intero valore del teatro è che tutto quello che è stato creato scompare immediatamente”. Estrema sintesi di un’arte intimamente performativa, entropica, vocata all’emozione della messa in scena. Se tutto ciò sembra naturale ai teatrofili d’oggi, va ricordato quanto fosse invece controcorrente negli anni ’70 e ’80. Ovvero quando l’intellettualismo delle transavanguardie corrodeva, anche a ragione, i dispositivi tradizionali. Ora però è un bel dilemma, per noi che ne sorbiamo la mancanza: recuperare un patrimonio scritto sull’acqua sarà materia per veri poeti.