I Deep Valley blues sono nati solo quattro anni fa, quando Giando Sestito (basso, voce) e Umberto Arena (chitarra, seconda voce) decisero di creare una band dal sound aggressivo. Raccolti gli altri due membri lungo la strada, Alessandro Morrone (chitarra) e Giorgio Faini (batteria), la band ha cominciato a mettersi in moto, producendo un primo EP omonimo. Ora, sono pronti a rilasciare il loro primo album completo, dal titolo “Demonic Sunset”.
Si tratta di un lavoro ruvido, ruspante, in cui le influenze stoner e sludge metal vanno a contaminarsi con il southern rock. Ciò che ne risulta è un rock scuro e aggressivo, stoner senza risultare lento e pesante. Tematicamente, si potrebbe descrivere l’album come un concept sulla malattia mentale. I testi si rincorrono, parlando di depressione, traumi e illusioni create dal cervello di un pazzo.
“Demonic Sunset” è un lavoro scuro e aggressivo in cui convivono Stoner Metal e Southern Rock
“Demonic Sunset” rompe gli indugi sparando subito la title track sull’ascoltatore. Traccia veloce del basso che martella alto in sottofondo, sicuramente è un brano efficace in live. Il testo racconta il riaffiorare di un evento traumatico alla vista di un tramonto naturale. A seguire, “Black Out” vuole essere la descrizione esatta di un attacco di panico. Ne esce un rock luciferino, ma a dire il vero meno contratto e ansiogeno di quanto mi aspettavo. Buona traccia in ogni caso.
“Dana Skully” usa il personaggio dell’investigatrice di X-Files per parlare della piaga dei complottisti e della mania di persecuzione. La voce di Giando Sestito dà il meglio (peggio?) di sé in questa traccia, raschiando brutalmente mentre chiama a gran voce l'”agente Dana”. “Lust Vegas” rallenta il ritmo, proponendosi come un brano più pesante, una sorta di mostruoso blues strumentale.
“Demonic Sunset” è un ritratto atipico della malattia mentale, dal ritmo serrato e quasi sempre incisivo
“Agent Orange” (nome in codice dell’esfoliante alla diossina usato in Vietnam) è un brano più contratto e frenetico, che riesce, forse più di “Black Out”, a comunicare un senso di terrore febbrile. “Follow the Buzzards”, canzone atipica nella tematica, sembra parlare di un mago o negromante, e strumentalmente conferma la formula già collaudata nei brani precedenti. Le ultime due tracce formano un dittico sulle relazioni amorose finite male. Sono forse le tracce più deboli di “Demonic Sunset”, non per il ritmo accettabile quanto per i testi, che in pezzi del genere hanno un impatto anche maggiore.
In generale i testi dell’album, anche quando ispirati da ottime idee, non riescono a evitare delle macchinosità espressive, quando non siano effettivi errori in inglese. Ciononostante, l’ìmpressione finale dell’album, anche considerando che si tratta dell’ esordio della band, è decisamente positiva. Il comparto strumentale è curato e ben eseguito, e le idee ci sono. Un lavoro di lima sui testi potrebbe portare questi bluesmen della “valle profonda” a galoppare alti in superficie.