Hanno ormai più di 20 anni di produzione i Minnie’s. Eppure la band milanese è riuscita a produrre un altro album, il settimo in studio per la precisione, fresco e carico come fossero al primo giorno di scrittura. “Evviva Manifesto” si compone di 12 tracce per 49 minuti di puro post-rock, che graffia senza essere aggressivo per le orecchie. La chitarra c’è ma non è primaria, come da shoegaze. Il muro sonoro creato da riff monocorda è affidato alla voce di Luca Pancini. Mentre Yuri Tartari si destreggia, oltre che con la sei corde, anche con flauto e contrappunti vocali. I re dell’album sono il sintetizzatore e il basso, entrambi guidati dall’esperienza di Alberto Ladduca. La voce di Luca Pancini è calda, materializza il possibile live.
È un ambient realistico e partecipato quello di “Effetto Manifesto” dei Minnie’s
La band di Porta Romana, oltre a dare una versione melodica del post-rock, con “Evviva Manifesto” si inserisce in una tradizione musicale che affonda le radici negli anni ’80. Hanno un debito pesante nei confronti del brit-rock degli Oasis. I brani sembrano dividersi in due parti, una dalle influenze sonore più suggestive, l’altra più coinvolgente dal punto di vista cantautorale, spostandosi anche dall’altra parte dell’Oceano per andare a pescare nel pop-punk, come in “Buoni a conoscersi” e “Il grande inverno europeo”. Impreziosendo da più di 20 anni il miglior underground milanese, i Minnie’s si fanno carico di sfumature sonore provenienti del nord Europa, come se l’essere più vicini alle Alpi li rendesse più propensi al contagio. Non trascurando, soprattutto, infiltrazioni psichedeliche.
Tra ultra-moderno e classico, l’indie dei Minnie’s risulta fresco e vivo
In quasi un’ora di rock melodico in stile Afterhours, i Minnie’s compongono per tutti gli spleen emotivi, ma soprattutto per tutte le sfumature di post-rock. “Cicale” è la più verdenosa, mentre il beat anni ’80 di “Che segreti hai” si incastra nel cervello in un loop ossessionante. Da “Breve” prende il nome l’album: “Evviva Manifesto” è l’esclamazione di entusiasmo in una lirica forte e struggente. I Minnie’s caricano la riflessività come fosse una molla, facendo esplodere spleen malinconici amplificati da un impasto di synth e percussioni elettroniche, a cura di Alessandro Mariano. Il settimo lavoro del quartetto milanese è leggiadro e decisamente al passo coi tempi. Con la straordinaria capacità di inserire in sonorità ultramoderne l’accortezza compositiva di cui troppo spesso la scena indie è carente.