Si chiama “Pulp” ed è il primo lavoro discografico di Zero Portrait, progetto che gravita attorno alla figura di un dj e beatmaker di stanza a Roma. Attivo da diversi anni nel panorama musicale dedicato al clubbing, Zero Portrait viene dal sud dello stivale. Resta anonimo, ché conta la musica, non il personaggio.
“Pulp” è stato liberato per il mondo esattamente l’8 Maggio per Antistandard Records, in un giorno a cavallo tra un decreto e una fase. Si tratta di un EP di cinque brani che intendono abitare e far vibrare le tane. Rifugi e sotterranei naturali, tanto vecchi quanto i passi del tempo sul pianeta e che si muovono secondo un sussultorio movimento ad altalena, che intreccia materia a materiale, il sintetico all’ancestrale.
“Pulp” è un EP di cinque brani che intendono abitare e far vibrare le tane, i vuoti sotterranei naturali, l’invisibile che è degli invisibili
Cinque brani di cui uno solo provvisto di lyrics, “Fauna”, secondo del disco e bandiera delle sue intenzioni. Intenzioni che si colgono al volo, come ci si addentra nel labirintico gioco di manipolazione del suono. Dalla voce di Agronomist degli Smania Uagliuns che collabora al pezzo e ce ne fa apprezzare i colori, le contaminazioni. Perché “Pulp” è una continua contaminazione e rimando a diversi tempi, luoghi e spazi. Sempre, secondo il fare e disfare dell’incessante ritmo tribale. Il battere sui fianchi o il piede dovunque si trovi perché sente lo sprigionarsi del ritmo.
Lungo l’intero ascolto, insistente e delizioso è il contenuto afro-beat e di soundsystem giamaicani. L’abilità di Zero Portrait è tale da rendere l’esperienza davvero come ci si trovasse in presenza della sperimentazione. E l’effetto, che mi si passi, ricorda un po’ quello dei ricordacini della stagione 20 di South Park. Ovvero, quello di non guardare al presente se non come un accumulo di istanti passati – ovviamente c’era altro, come oggi a guardare il presente.
Istanti, comunque, che se catturati in proporzione a una collettività, restituiscono i sapori e gli odori di quelli che sembrano secoli fa e che è possibile condividere.Sì, c’è l’afro, sì, c’è il beat, la dub, sprazzi infuriati di techno. Pure, si vede il mare da un’autostrada negli anni ’90. I pavimenti illuminati da glitter ’80. Certe epifanie musicali che, a cavallo dell’inarrestabile scorrere ritmico, restituiscono tutta la vita che accade nella polpa.