Autrice che canta l’amore e la vita in ogni declinazione con dolcezza ed eleganza. Romana di Roma, Ilaria Pilar Patassini si fa ascoltare per la quarta volta con un disco pieno di energia esplosiva, che coniuga in rabbia, tristezza e tanta determinazione. Caratteristiche che sono delineate dalla “Luna in Ariete”, che dà il titolo al nuovo album, pubblicato a quattro anni di distanza dall’ultimo lavoro “L’amore è dove vivo”. Poetessa attenta alla metrica, sfugge da rime e ritmi stucchevoli, è la chitarra di Federico Ferrandini a musicarne i versi. Con “Dorme la luce di ottobre” (forse perché siamo ancora a settembre) si entra lentamente nelle visioni della cantautrice che cerca di evocare il grigio grazie all’esclusione di tutti gli altri cromatismi. Ovviamente la nebbia si dipana attraverso sonorità morbide e ritmi guizzanti.
Ilaria Pilar Patassini: «Le registrazioni di “Luna in Ariete” sono state fatte in presa diretta, niente clic nella cuffia, niente protezione ma rumori, respiri, la musica com’è»
Nella seconda traccia l’autrice snocciola una filastrocca che sa di incantesimo. Il mantra si inserisce nelle pieghe di un pacato lamento per le contraddizioni dell’autonomia: «Quando sono intera sono a metà». Non poteva che seguire la confessione di fragilità. Tra i fiati e gli arpeggi di “Eccomi”, la voce di Ilaria Pilar Patassini danza letteralmente. La forza di voltare pagina si propaga attraverso una vocalizzazione cupa e vibrante che, anche nelle note più alte, resta immancabilmente nera. L’intro di “Pagine già viste” già viste in realtà è già sentita. Rievoca gli accordi iniziali di “Future Days” dei Pearl Jam. Tuttavia, il riferimento sembra sposarsi con il concept della canzone. Il tempo che non si ferma mai, scivola tra le dita come acqua. Solo quando si materializza in instantanee il suo fluire risulta sopportabile.
Altro capitolo sul tempo di vita in “Luna in Ariete”, stavolta con suoni latini. La voce si tira dietro i fiati in “Nessun tempo si perde”, dando quasi l’impressione che Ilaria Pilar Patassini stia improvvisando sulla musica. Non ci sono accenti se non in levare, che rendono vivace un testo raffinato, evocativo e metaforico, in cui insieme ai significati si smussano anche i tempi dei verbi. Eppure le sfumature del sottosuolo sonoro emergono come radiazioni da “Alla riscossa”. Nelle vibrazioni c’è la risposta alle tante immagini che si affastellano nella lirica, in una cornice epica, che si trasforma in armonia marziale. Però bisogna aspettare che emergano le percussioni alla chiusa.
Ilaria Pilar Patassini: «Considero “Luna in Ariete” una vera e propria performance»
La maternità che l’ha accompagnata durante la registrazione di “Luna in Ariete” è raccontata ne “Il suono che fa l’universo”. La gravidanza si fa metafora del big bang, mentre fa vibrare le sua corde vocali lungo due ottave piene. Ogni strofa inanella un fotogramma della formazione della vita. Forse non c’era brano più adatto per sperimentare la psichedelia. Si canta il privilegio in “La parte giusta del mondo”, autentica e senza sarcasmo. Tra pennate elementari e percussioni tribali, i virtuosismi sono tutti nella voce.
La titletrack “Luna in Ariete” arriva in chiusura. Dulcis in fundo, sembra essere una ballata autobiografica, forse quella in cui infonde più interiorità. Un disco pregiato questo di Ilaria Pilar Patassini, che da un lato asseconda la struttura fluida della canzone d’autore. Sono poche le tracce in cui si lascia ingabbiare dalla sicurezza della successione di strofa-ritornello-strofa. Nonostante la familiarità timbrica della voce della cantautrice, l’impossibilità di individuare il ceppo preciso la rende unica. Quella di “Luna in Ariete” è un’estetica aperiodica che resta orecchiabile.