È davvero un piacere poter scambiare quattro chiacchiere con Irene Ghiotto, Inizio col farti i complimenti per il tuo nuovo album “SuperFluo”.
Le nostre interviste non sono assolutamente convenzionali e quindi vorrei iniziare subito con la nostra domanda di rito. Ricordi in tutta la tua carriera, un aneddoto particolarmente imbarazzante? Qualcosa che non cancellerai mai dalla tua mente?
Ciao a voi, grazie per i complimenti. Allora, gli aneddoti sono tantissimi quindi devo fare un po’ mente locale per selezionarsono cresciuta con il punk californiano, io ho il punk dentroe il migliore, o il peggiore. Non so se è un momento propriamente imbarazzante, nel senso che lo è stato per me ma non so quanto gli altri se ne siano accorti. È legato alla mia partecipazione al Festival di Sanremo, nuove proposte, quindi – ride – devo stare anche ben attenta a quello che dico.
Siamo tutt’orecchi!
Io arrivai a Sanremo, diciamo con le mie gambe, quindi tramite Area Sanremo. Arrivavo completamente sprovveduta e con delle piccole esperienze live. Solo con qualche esperienza di talent che fu “Star Academy” con Francesco Facchinetti. I miei amici continuano a prendermi in giro chiamandolo “Star a Casa”. L’unico talent che ha chiuso prematuramente perché non aveva ascolti!
Già questa cosa potrebbe essere abbastanza per noi, ma vai avanti perché la cosa si fa interessante!
Insomma, di fatto non avevo una grande esperienza dei meccanismi televisivi e mi trovavo sul palco, dietro le quinte, da tre quarti d’ora con il microfono in mano. Prima di me si esibiva Il Cile, poi io sarei dovuta salire sul palco. Insomma io non avevo un grande ritorno della voce del conduttore e non sapevo cosa fare. A un certo punto sento questa voce annunciare: “E adesso Irene Ghiotto!”. Ora, io ero lì da sola, e non sapevo assolutamente cosa fare. Di mia spontanea iniziativa quindi, senza che nessuno mi dicesse “tocca a te, vai”, presi e mi avviai sul palco. Avevo una camminata frettolosa, e con due passi e mezzo raggiunsi il centro del palco. Non fui definita solo la peggior vestita di tutta la kermesse, ma anche quella con il peggior portamento! Se non altro, era il mio turno!
Va beh, infondo tutte le star si fanno un po’ attendere sul palco dai! Veniamo un a te. Da più piccola hai iniziato a suonare la chitarra, poi verso i 17 anni ti sei spostata verso pianoforte e voce. In questo periodo hai avuto “avventure” con band rock, metal, punk, da ribelle insomma?
Porca miseria sì! io sono cresciuta con il punk californiano, io ho il punk dentro! Per me il punk non è il bicordo con la chitarra, o vomitare e spaccare tutto. Per me il punk è un’attitudine che io sento di avere, anche se magari poi la mia musica può andare anche verso altre atmosfere. In realtà in questo disco il punk è lo scheletro di tutto. Infatti il mio batterista è un batterista prevalentemente punk. Quando siamo entrati in studio gli ho detto: «Tu cos’è che devi fare? Picchiare! Picchia duro!»
È la base di ogni buon disco per quanto mi riguarda!
Ma sì. Inoltre io ho sempre ascoltato diversi generi, dal metal al punk fino al grunge. Tutto quello che ha segnato gli anni ’90. Come potrebbe non essere così?, Quella musica mi è entrata davvero dentro e questa cosa genera come un enorme “guazzabuglio” e alla fine mi piace! Ho sempre ascoltato tanta musica, e non mi è mai piaciuto né definirmi, né sentire il metallaro di turno che ti insulta perché ascolti le Spice Girls. Che c’è di male? Sono fighissime! Una produzione spaventosa! Quindi che dire, io ho l’attitudine punk rock, anche sul palco, in quello che ascolto e come suono. Ma c’è la commistione di tante altre cose.
Insomma, fuori vogliamo apparire tutti dei duri, ma nel cuore piace a tutti Tiziano Ferro.
Esatto! Esatto! È proprio così!
Allora mi dai il gancio per arrivare ad una conclusione, considerato tutto quello che ci siamo detti. Ovvero: l’impressione che dà il tuo disco, rifacendomi ad artisti italiani, è un po’ un mix tra l’attitudine vocale di Elisa e le basi dei primi dischi di Cesare Cremonini, molto rock.
Assolutamente si, nonostante la mia scrittura secondo me sia un po’ più complessa rispetto il panorama mainstream, rimango comunque una “poppettara” nell’anima. Cioè, io sono andata a vedere Tiziano Ferro a Verona al Bentegodi, e urlavo e piangevo come una ragazzina. Quindi, sì, queste due anime che tu vedi, rock e pop, sono esattamente io. Anche a me piace tanto Cremonini, ma perché alla fine mi piacciono i Beatles, mi piacciono i Queen. Ma allo stesso tempo ho ascoltato anche i Genesis, ho ascoltato il progressive! A questo discorso voglio aggiungere una premessa: non voglio dire “ascolto un po’ di tutto”.
Come mai?
Guarda, quando chiedo a un mio alunno:”cosa ascolti?” e lui mi risponde: “tutto” allora io immediatamente gli dico: “quindi ti piace l’ultimo disco di Bon Iver“. Ovviamente la maggior parte delle volte non sanno chi sia. Quindi bisogna poter dire “ascolto tutto” con cognizione di causa.
Quindi tornando a noi, a te cosa piace?
Tutto ciò che è autentico. Sembra strano da dire, ma è il mio corpo che lo percepisce. Quindi da “Enter Sandman” dei Metallica fino a “50 Special” dei Lunapop. Insomma, la musica deve avere un’identità e una forza comunicativa.
Tutto questo ci porta a parlare finalmente dell’album: “SuperFluo”, e specialmente della prima traccia dell’album, che ha destabilizzato tutto l’ascolto. Te lo dico perché è una traccia dalla forte attitudine rock, che sembra dover esplodere da un momento all’altro ma non lo fa mai. È l’intenzione che avevi?
In fondo si, è un po’ la caratteristica della mia scrittura quella di fartela annusare e non dartela, detta in gergo – ride – . È una sorta di feticismo o narcisismo che ho io. Me l’hanno già fatto notare e io me ne rendo conto perché cerco sempre di ascoltarmi con le orecchie degli altri. Se io mi ascolto con le mie orecchie, pogo, dentro di me è tutto fighissimo. Però mi rendo conto che ascoltata dall’esterno posso dare quest’impressione. Mi dicono: “perché non ti concedi tutta?”, perché semplicemente questa sono io. Non faccio musica per compiacere l’orecchio di qualcun’altro insomma.
Ora, dopo tante parole dette, sapendo che tu sei anche un’insegnante di canto, vorrei che mi descrivessi l’album come lo descriveresti a uno dei tuoi studenti.
Sicuramente è un disco molto colorato e molto giocoso. A un primo ascolto potrebbe anche risultare un po’ spigoloso, ma potrei dire che è quello spigolo che ti punge e ti inietta energia.
Lo so che non dovrei chiedertelo, ma se dovessi scegliere una canzone del disco, tra tutte, che ti rappresenti di più, quale sarebbe?
– Tentenna – “Assurdità”
Quella con un video che potremmo definire un po’ particolare!
Beh, che poi se ci pensi è una cosa iper semplice. Insomma, mi hanno detto che io ledo all’intimità degli animali, ma l’animale non ha un’intimità, non è come noi che ci nascondiamo per fare certe cose, lui lo fa indistintamente e ovunque e questa cosa è un po’ come il senso della vita, un’idea di “SuperFluo”.
Bene, abbiamo ormai quasi finito, quindi ho giusto un paio di domande veloci per te. Dimmi la canzone tra tutte che avresti voluto scrivere tu!
“We all falling love somethimes” di Elton John.
Quella che invece non avresti mai voluto scrivere?
Tutta la disscografia degli Incubus da “Morning view” in poi.
Ok, veniamo ai saluti e raccontami un po’ cosa farai nei prossimi mesi, se ci sono progetti già in cantiere, tour o simili.
Finalmente si torna sul palco, e non vedo l’ora di farlo con la mia band. Assoluta voglia di portare dal vivo i pezzi e stare sul palco in piedi, io che ho passato anni seduta al piano seduta, finalmente posso tornare a scatenarmi faccia a faccia con il pubblico.