Martedì 9 ottobre ho assistito al debutto de “L’Abisso” al Teatro India, inserito nel percorso di stagione “Dalla pagina alla scena”. Lo spettacolo è tratto dal romanzo “Appunti per un naufragio” di Davide Enia, e racconta l’indicibile tragedia degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo. Nel 2018, “Appunti per un naufragio” ha ricevuto il Premio letterario internazionale Mondello, e sta per essere tradotto in Francia, USA, Germania e Spagna. Nelle note di regia spicca la domanda: “come raccontare il presente nel momento della crisi?”. “Il rischio”, prosegue il regista e interprete, “è certamente quello di spettacolarizzare la tragedia”. Timore che, in questo caso, può assolutamente essere arginato. Il racconto è sostenuto da un’estrema semplicità nutrita, al contempo, da una ricchezza multiforme.
Davide Enia ci rivela intimamente, quasi parlasse con uno spettatore alla volta, quello che i suoi occhi hanno visto e le sue orecchie ascoltato. Il suo corpo ha registrato ogni avvenimento e gli parla, chiedendo con urgenza, il bisogno di essere espresso. Lo spazio scenico è riempito di parole, gesti, note e canti, mentre la scenografia è completamente scarna. L’autore ci mostra attraverso le sue parole tutto l’orrore a cui ha assistito. Lo spettatore riesce a vedere immagini così strazianti che, nel momento in cui diventano completamente nitide, scompaiono in un buio profondo. Ci perdiamo nell’abisso del disumano e tentiamo anche noi di salvarci da un’atrocità che ci riguarda tutti.
Accanto alla testimonianza di Davide Enia sugli sbarchi, assistiamo alla sua personale storia familiare, in particolare quella del suo rapporto con il padre e lo zio.
“L’Abisso” non è uno spettacolo, è un pezzo di storia raccontato in modo così autentico che tutti dovrebbero avere la possibilità di ascoltare. Ascoltare prima ancora che vedere. Perché l’ascolto è l’azione più importante. Crea dialogo, empatia, e vicinanza nel senso più profondo del termine. Come fa l’ascolto del compagno di scena del protagonista, suo padre, che pur non essendo lì fisicamente, percepiamo e vediamo in carne ed ossa.
Il comunicare di Davide Enia è così semplice e sentito da diventare universale. È un esempio di storia personale che assurge a storia dell’umanità.
Accanto alla testimonianza di Davide Enia sugli sbarchi, assistiamo alla sua personale storia familiare, in particolare quella del suo rapporto con il padre e lo zio. Con il primo, viene descritto come viscerale e talmente in sintonia da non aver bisogno di uno scambio verbale. Con il secondo l’empatia è, invece, intessuta di parole di speranza e ironia. “L’Abisso” è musicalmente accompagnato da partiture scritte ed eseguite da Giulio Barocchieri. Nonostante ci sia una sovrapposizione di note e rumori che creano instabilità e costruzioni distorte, la musica è sempre discreta e opportuna. Insieme alla melodia si uniscono i canti dei pescatori e le preghiere per i morti, che emozionano e fanno rabbrividire.
Il comunicare di Davide Enia è così semplice e sentito da diventare universale. È un esempio di storia personale che assurge a storia dell’umanità riuscendo a toccare le coscienze di ognuno. L’urgenza di cui parla il protagonista permea “L’Abisso” proprio come questo evento di portata storica. I fatti di cronaca ci parlano puntualmente di naufragi e morti in mare, ma non abbastanza e non da così vicino. La chiave per poter minimamente comprendere, forse, sta solo nel “guardare negli occhi un uomo che ha lo sguardo di chi ha dentro un campo santo”.