LEGNO: "Coprirsi è il miglior modo per aprirsi con la gente"
Legno foto promozionale
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LEGNO: “Coprirsi è il miglior modo per aprirsi con la gente”

Ciao Legno, vi diamo il benvenuto su Music.it, iniziamo subito con l’intervista:
Raccontateci un aneddoto su “Legno”, un segreto o un qualcosa di imbarazzante che vi è successo durante un concerto, in studio o nella vita di tutti i giorni.

Beh, questa è bella… Lo giuriamo, ci siamo scordati Marco Lupo Alberto Floridi (il batterista) all’Autogrill Cantagallo al rientro dopo una data al nord. In macchina c’era un silenzio inusuale e quando il telefono squillava,ormai era troppo tardi. Ma ci siamo fatti grosse risate, ci ridiamo ancora!!!

Parliamo del nome, “Legno”. Cosa significa? Perché vi siete scelti questo nome?

Facciamo le presentazioni “ciao raga noi siamo i Legno”, “Legno felice e legno triste”. Scherzi a parte, il progetto è nato un po’ per gioco. Avevamo scritto delle canzoni che volevamo vestire e dargli un senso. Poi l’idea di Legno, di creare questo personaggio con la scatola come se fosse un supereroe della musica e ci siamo divertiti molto nel dargli due volti, felice e triste. Legno ci rappresenta, a volte coprirsi è il miglior modo per aprirsi con la gente. Quando siamo Legno non abbiamo segreti, ci presentiamo al nostro pubblico senza veli, come un amico a cui puoi dire e confidare tutto. Abbiamo un rapporto bellissimo con le persone che ci stanno seguendo, a loro non interessa sapere chi c’è dietro la scatola, ma sapere che quello che c’è all’interno delle nostre canzoni che faranno proprie. Insomma come dice lo Zio Ben: “da grandi poteri derivano grandi responsabilità.”

Cosa c’è in queste scatole che portate in giro? Cosa vorreste inserire e cosa vorreste togliere?

Vogliamo mettere nei testi tutte quelle cose che si provano nel nostro quotidiano. Nei social oggi si legge e si vede di tutto, fanno parte della nostra vita. Le relazioni sono la ragione per cui ci innamoriamo o ci lasciamo, tutto ciò che ci lega è la malinconia, vissuta in modo non prettamente triste e distruttiva. Quando siamo nostalgici ricordiamo sempre qualcosa di bello che alla fine ci fa sorridere e ci fa stare un poco meglio. Nelle nostre scatole mettiamo dentro tutto il nostro vissuto. Quando vogliamo sfogarci delle cose pesanti ci alleggeriamo scrivendo e togliendo le cose che ci fanno male e anche quelle belle, indossare una scatola ci fa vedere le cose da un altro punto di vista. Ci aiuta ad affrontare le cose difficili. In tutto ciò cerchiamo di parlare al nostro pubblico, di modo che si possono rivedere nei nostri testi.

“Titolo Album” è il titolo del vostro primo lavoro in studio. Perché un nome così “generico”?

Non volevamo dare un nome preciso che si identificasse in un singolo brano, così abbiamo deciso di rimanere piuttosto vaghi. Quando il grafico (@distrattamente) ci ha mandato l’immagine della copertina c’era scritto “Titolo Album” nello spazio dove dovevamo mettere il titolo. Ce ne siamo innamorati e lo abbiamo lasciato così.

Che cosa racconta “Titolo Album”? Dove vuole arrivare questo disco?

“Titolo Album”, racchiude tutto quello che avevamo da raccontare. Sono momenti di vita quotidiana che volevamo mettere in musica per raccontarvi chi siamo. La malinconia è essenzialmente il filo conduttore dell’intero album. Pensiamo che la tristezza è soltanto lo sfogo è l’arma vincente per superare un momento no, una nota di colore scuro in cui però c’è sempre del piacere da scoprire. Poi per noi è un po’ complicato visto che siamo Legno Felice e Legno Triste, cerchiamo sempre di trovare un punto d’incontro. Di base siamo persone felici e devastarci di thè non è poi così triste.

Parliamo di questo personaggio che avete creato, un “supereroe” della musica della musica indie/pop italiana. Come lo definireste? Che cosa fa per la musica? Quanto vi rispecchiate in lui?

Legno vuole essere un amico, un confidente per tutte le persone che hanno bisogno di sfogarsi dei problemi della vita quotidiana. Quando le persone ci scrivono in direct per chiederci consigli sulle proprie situazioni sentimentali, oppure per dirci che grazie a una nostra canzone hanno potuto superare un momento no, la missione del supereroe della musica Indie-pop può ritenersi compiuta.

Avete realizzato tre videoclip per i brani “Sei la mia Droga (parte uno)”, “Tu chiamala Estate (parte due)” e “Mi devasto di Thè (parte tre)”. Come è stato raccontare la vostra storia con musica e immagini? Perché avete scelto di raccontare la vostra storia in questa maniera?

Volevamo parlare di noi attraverso un corto che raccontasse come è nato questo progetto. Solamente un anno fa grazie alla regia di Angelo Capozzi, col primo video “Sei la mia Droga”, siamo riusciti a raccontare una situazione sentimentale decisamente ricorrente tra i nostri coetanei. Il secondo videoclip “Tu chiamala Estate” è una metafora della condizione economica di molti giovani per i quali le vacanze non sempre rappresentano mare sole e montagna. Il terzo e ultimo video della trilogia “Mi devasto di Thè” l’epilogo drammatico della coppia che si lascia.

Mi hanno colpito due brani di questo “Titolo Album” e sono “Friendzone” e “Bomber”. Sono due termini usati soprattutto dai più giovani in rete. Cosa stanno a significare per voi? Avete una qualche storia da raccontarci?

Sono moltissimi i ragazzi che ci hanno scritto raccontandoci di come almeno una volta nella loro vita siano stati “friendzonati” e altrettanti sono invece sono i “bomber”. Sono due termini diffusi nello slang adolescenziale di oggi, che hanno fatto breccia in molti ragazzi che ascoltano le nostre canzoni. Ci sembrava carino poterli rappresentare attraverso i loro racconti con questi due brani.

Che significa per voi “Indie/Pop”? Vi sembra un’etichetta azzeccata?

E’ un termine un po’ inflazionato e non sempre usato dando allo stesso il giusto significato. Questo movimento definito indie però c’è ed è reale, la musica indipendente è una definizione che include una vasta selezione di artisti emergenti. Di solito sono lavori autoprodotti o supportati da etichette discografiche minori e non dalle cosiddette major.

Ci parlate di “All you can eat” e del vostro incontro con Nicolò De Devitiis?

Quando c’è arrivato un messaggio su Instagram in cui Nicolò De Devitiis ci diceva che eravamo entrati nella sua playlist di Spotify ci siamo subito entusiasmati. Nicolò è un grande appassionato di musica, molto attento a quella emergente, e durante una sua intervista da Max Brigante a “105 Mi Casa” ci ha citati come nuovo progetto da tenere d’occhio nel panorama indie-pop. Dopo qualche giorno eravamo casualmente in giro a Milano a fare delle interviste, gli abbiamo scritto e ci siamo incontrati. Lui è arrivato vestito da iena – aveva appena finito di fare un servizio – ci siamo conosciuti ed è nata una bella amicizia, che al di là del lavoro che facciamo ci ha trovato subito in empatia sulla visione del mondo musicale di oggi. Ci ha caricato in macchina e portati prima da Max Brigante a Radio105 per regalargli il nostro disco e in Spotify per fare la stessa cosa.

E come è nata la vostra collaborazione?

Da un po’ avevamo in cantiere “All you can ea”t, e dopo quella giornata una volta tornati a casa, ci si è accesa una lampadina, anzi, la nostra scatola di Legno. Così dopo 3 giorni dal nostro incontro con Nicolò lo abbiamo chiamato e gli abbiamo proposto una follia: fare un pezzo insieme, un featuring, dove lui cantava con noi e aveva un suo special. Alla sola idea lui (che suona la batteria e ogni tanto canta) è impazzito e si è detto subito entusiasta. Morale: dopo un settimana eravamo nel nostro studio a Pistoia a registrare “All you can eat” e girare il video.

Siete più felici o tristi?

Venite ai nostri concerti e lo vedrete…