Ciao! Bentornato Leonardo Angelucci, comincio subito mettendoti a tuo agio. Raccontaci un episodio divertente legato alle tue esibizioni, qualcosa che non hai mai raccontato prima. Rompiamo il ghiaccio con una risata!
Bisogna andare indietro di parecchi mesi per ricordare l’ultimo concerto, e da lì tutti quelli precedenti. Quanto mi manca il palco… Comunque mi viene in mente l’ultima esibizione a teatro a Macerata, per Musicultura, quando, a parte un paio di supercazzole in “Sedile Posteriore”, dovute all’emozione, ho fatto una dedica epica sul palco e in diretta streaming. Ho detto: “A quel trapano del Maestro Pellegrini”. Mi riferivo ad Alessandro Pellegrini, mio collega cantautore marchigiano e amico fraterno, presente in sala, che era solito appellare me e altri amici con questo nomignolo di “pozzettiana” memoria. Vi lascio immaginare lo stupore della giuria e della sala, mentre io diventavo ufficialmente l’eroe del nostro gruppo whatsapp di cantautori.
“Vivere è non pensare” è il ritornello del tuo ultimo singolo “Hennè”, motto preso in prestito da Fernando Pessoa. Quanto hai pensato alle tue battaglie interiori, quanti nodi avevi da sciogliere prima di scrivere questo brano?
Io personalmente ne ho ancora molti da sciogliere, come credo tutti noi. Battaglie interiori che quotidianamente scandiscono le mie giornate, tra alti e bassi, amplificati anche dal delicato momento che stiamo vivendo, sia dal punto di vista emotivo, che da quello più pragmatico e lavorativo. Quando ho scritto il brano stavo indubbiamente attraversando uno di questi periodi nebbiosi, dove la vista è offuscata dall’incertezza. Spesso una persona empatica somatizza anche le vibrazioni del mondo circostante, gli umori, gli stati d’animo; in questo caso il brano, infatti, è nato proprio dopo una lunga chiacchierata con un mio amico autore, nell’antro spettrale della sua inquietudine interiore, che ho voluto immediatamente immortalare ed esorcizzare traducendola in musica.
Sul tuo sito “Leonardoangelucci.it” sei un cantautore rock scapigliato. Vinci il premio Roma Videoclip con il video “Capigliatura”. Insomma, è evidente che per te i capelli hanno un peso! Scherzi sui paragoni che la tua chioma suscita fuori, dai Cugini di Campagna a Caparezza ma tu vorresti essere liscio? Ironia a parte, cambieresti qualcosa dalla tua immagine o ti basta cambiare shampoo?
Sono un cantautore, prima di tutto però sono un chitarrista con un animo profondamente corroso dal rock e dal blues, e la maggior parte del tempo vado in giro con una folta chioma riccioluta che è veramente difficile da addomesticare. Comunque no, non vorrei essere liscio, sono felicemente soddisfatto di come i Miei si siano divertiti a combinarmi, geneticamente parlando. Per il discorso di immagine mi piace sperimentare: come nella musica, cerco di essere onnivoro ed eclettico. Fin da piccolo ho sempre amato travestirmi, mascherarmi, anche quando non era Carnevale. Ho sempre pensato ai miei differenti progetti e momenti musicali come a dai ruoli teatrali, dei personaggi da interpretare a seconda del risultato da ottenere. Mi piace questa visione molteplice, molto “alla Pessoa”. Quindi sono cambiato, cambio e cambierò immagine. Anche semplicemente spendendo soldi per comprare nuovi outfit.
A proposito di “Shampoo”, Gaber ci ha scritto una canzone a dimostrazione che in musica si può parlare proprio di tutto. C’è un tema che non hai trattato e che vorresti trattare? Quanto secondo te, nel panorama indie italiano, tornano le stesse tematiche e quanto spazio resta alla sperimentazione?
Sarò molto diretto in questa risposta. Non saprei programmare un tema da trattare, dato che le mie canzoni nascono spontaneamente, da emozioni e sensazioni reali, positive o negative, che vivo e trasporto in note. Per parlare “di tutto” come faceva Gaber, bisogna possedere gli attributi e l’eleganza per farlo, altrimenti rimane qualcosa di grottesco. Non è facile essere particolari, distinguersi dalla massa, ma è necessario oggigiorno. Proprio perché quello musicale è un sistema in saturazione sotto ogni punto di vista.
Continua…
Tutti fanno musica: gli influencer, i giornalisti, i meme, i personaggi televisivi. Chiunque, dentro casa, con un minimo di attrezzatura, o dietro lo schermo dello smartphone, diventa protagonista del Reel o del Tik Tok di turno. E alle persone piace questo reciproco compiacersi, soprattutto nell’assurdità dei contenuti. I giovani cercano subito il traguardo televisivo, la sovraesposizione, il pubblico virtuale, le views, piuttosto che la gavetta fatta di concerti e chilometri. Per cui io penso che finché continuerà ad esserci questa massa informe di uscite mediocri, finché verremo continuamente mitragliati da contenuti, personaggi e protagonisti, sarà sempre più difficile emergere, distinguersi e sperimentare. Difficile ma necessario. Negli anni ’70 si sperimentava. Piuttosto oggi si cerca il modo per OMOLOGARSI ALLA MASSA.
“Sedile posteriore” è un altro tuo singolo che mette in luce la capacità di scrivere testi che danno l’idea di una storia in movimento, come prendesse forma in quel momento e non fosse precedentemente scritta. Ma quanto balsamo usi sui testi? Quanto li rivedi, li pettini, li ordini?
Vi ringrazio di cuore per le parole su “Sedile Posteriore”. Anche lì c’era il rischio di scadere in una banalità puramente indie, invece ho cercato appunto, limando il testo anche in fase di produzione in studio, di sceneggiare il pezzo come fosse un corto. Dando poi questo significato metaforico dell’alcova d’amore, del sesso in macchina come discesa ripida verso gli istinti primordiali. Molti dei miei brani sono scritti di getto, flusso di coscienza. Poi ovviamente li rivedo, li limo, li sistemo, grazie anche al consiglio di produttori o colleghi, o semplicemente dei miei ascoltatori fidati.
Come il gesto quotidiano di darsi una sistemata alla chioma con un pettine a 6 punte, tu ti innamori piccolissimo delle 6 corde di una chitarra acustica. L’amore per questo strumento cresce e nel 2017 parti in tour con Daniele Coccia Paifelman in qualità di chitarrista elettrico. Quanto aiuta, nella storia di un’artista, rivestire ruoli diversi e non rimanere ancorati alla propria esperienza musicale?
Moltissimo. Io per giunta sono una spugna. Assorbo tantissimo dalle persone che mi circondano. Bisogna sempre sentirsi in ascesa e mai arrivati al traguardo. Bisogna avere l’umiltà di spogliarsi, guardarsi allo specchio, poi prepararsi al cambiamento, anche se spesso può sembrare brusco e scioccante. Ve lo dice un iperattivo innamorato di arte a 360 gradi.
Ultimamente conta di più avere la possibilità di andare dal parrucchiere che ascoltare musica live. Per uno come te che ama l’arte a tutto tondo (fra le altre cose hai scritto un libro e dipingi) come è affrontare questo momento storico cupo e povero di momenti creativi collettivi?
Ecco appunto. Cerco di tenere la mente occupata a “non pensare” come suggeriva Pessoa. Scrivo, suono, leggo, dipingo, produco. Sono costantemente circondato da progetti e persone molto interessanti, dunque anche la sofferenza per l’astinenza da live, diventa più lieve se all’orizzonte ci sono degli obiettivi concreti. “Luna, ovvero Nessuno”, il mio primo romanzo, nato dalla noia e dalla stasi del primo lockdown, è venuto fuori proprio per l’esigenza che avevo in quel preciso momento, di viaggiare con la mente. Infatti sto già scrivendo un secondo libro. Musicalmente parlando, stiamo ultimando le registrazioni del terzo album dei Lateral Blast, long-distance, mentre sul fronte cantautorato mi preparo a pubblicare altri tre singoli prodotti allo Strastudio insieme a Giorgio Maria Condemi e Gianni Istroni. Insomma ci sentiremo presto, dai.
Bene, diamoci un taglio! La nostra intervista si conclude qua. Puoi chiedere qualcosa al nostro pubblico, anche se si fanno la tinta o un leggero “Hennè”.
Certamente. Cercate sempre di cambiare, di evolvervi, di vestire panni diversi, mutare, interpretare nuove sfumature del vostro carattere. Tingetevi – anche solo temporaneamente – i capelli di Henné, magari è la scelta giusta, oppure è la conferma di una direzione da evitare. Abbiate coraggio di imparare sempre, di studiare e di mettervi in discussione. Come sto facendo io rileggendo quest’ultima risposta, forse un po’ troppo saccente. Ma vi assicuro che lo faccio tutti i giorni. Ah, e fatemi una promessa: ascoltate la musica attentamente, non soltanto come sottofondo alle vostre giornate. Dategli il giusto rispetto e il giusto peso, che di lavoro dietro ce n’è veramente tanto. Comprate i dischi, i libri, tornate presto ai concerti, quando sarà nuovamente possibile, perché insieme possiamo dire di avercela fatta.