L’heist movie è un grande classico del cinema di genere e con il tempo abbiamo assistito alle sue più fantasiose declinazioni. Appena l’anno scorso “La truffa dei Logan” sfoggiava una narrazione elegantissima, ramificata in un fitto gioco di bluff, informazioni mancanti e depistaggi. Ecco, se il film di Steven Soderbergh lavorava sui meccanismi stessi del raccontare, “Widows – Eredità criminale” segue una strada differente. Steve McQueen, dopo l’Oscar al Miglior Film per l’acclamato “12 anni schiavo”, prende in prestito la fisionomia dell’heist movie per veicolare la sua riflessione sul ruolo della donna nella contemporaneità. Ad affiancarlo nella sceneggiatura troviamo la scrittrice Gillian Flynn, che con i suoi romanzi ha già ispirato due ottimi adattamenti: “Gone Girl” di David Fincher e la serie tv “Sharp Objects”. In entrambe le opere troneggiano delle figure femminili sanguinanti ma risolute, che nel bene o nel male riescono a definire la propria posizione in società.
Anche “Widows”, in fin dei conti, tratteggia il percorso di tre donne che tentano di reinventarsi dopo la morte dei rispettivi mariti. Come suggerisce paradossalmente il titolo del film, le tre si discosteranno in maniera più o meno consapevole dall’appellativo di vedove, che le definisce soltanto in funzione dei propri defunti consorti. I personaggi interpretati da Viola Davis, Michelle Rodriguez e Elizabeth Debicki accantonano ben presto gli abiti funebri, si rimboccano le maniche e scelgono di proseguire l’attività criminale dei compagni. Ecco allora entrare in gioco le dinamiche dell’heist movie: il film seguirà con attenzione le fasi organizzative di una rapina ai danni di Colin Farrell, che veste i panni di un influente candidato alle elezioni distrettuali. Sullo sfondo la Chicago dei nostri giorni, vessata da spietati gangster e politici corrotti.
“Widows”, in fin dei conti, tratteggia il percorso di tre donne che tentano di reinventarsi dopo la morte dei rispettivi mariti.
In poche parole “Widows” è un inno all’emancipazione femminile condito con scene action e risvolti thriller. Davvero un’ottima idea se non fosse per l’elaborazione concettuale del film, che non ha la stessa lucidità della passata sceneggiatura di Gillian Flynn. La scrittrice si era distinta per la sua capacità di inserirsi in punta di piedi nell’arte impegnata. Quest’eleganza sembra aver ceduto il passo alla smania di incastrare quante più tematiche sociali all’interno del mosaico. Non importa se in maniera inopportuna o grossolana. Nella narrazione balenano così lampi di violenza gratuita e qualche generica spruzzata di pregiudizi razziali. A farne le spese è ovviamente la credibilità del racconto, che tende a mostrarsi come un pretesto formale piuttosto che una narrazione dotata di una intrinseca dignità.
Tuttavia “Widows” non possiede solo lati negativi. La prima sequenza, al contrario, funziona sotto qualsiasi punto di vista, descrivendo la situazione di partenza in maniera sintetica ed efficace. Il montaggio alterna scene d’intimità tra le coppie a spezzoni della concitata fuga dei mariti. Il colpo va storto e gli uomini muoiono. Prendiamo Liam Neeson, altri attori prestanti e facciamoli saltare in aria dopo due minuti di film: così si prepara un passaggio di testimone con i fiocchi. Ora le donne dovranno provvedere alle faccende rimaste in sospeso, dimostrando che anche loro possono essere dei criminali convincenti. È a questo punto che il pubblico si aspetterebbe di assistere a qualche genere di grandiosa rivalsa, dimenticando che dietro la macchina da presa si trova Steve McQueen. Il regista, come suo solito, mantiene dei toni crudi e drammaticamente tesi. Ma se questo stile funzionava sui suoi primi lavori, come “Shame” o “Hunger”, non fa altrettanto in questo caso.
“Widows” è un inno all’emancipazione femminile condito con scene action e risvolti thriller.
“Widows” sente la mancanza di qualche punta di ironia, capace di fluidificare l’andamento del racconto. Anche perché la tensione comica si trova sempre, forse involontariamente, sul ciglio della porta. Nel mezzo del film, per esempio, fa la sua entrata in scena il quarto membro del gruppo. Una giovane ragazza in canottiera, dotata di una muscolatura straripante. Neanche questo è un buon pretesto per far saltare qualche dente o, comunque, giocare sul dislivello fisico tra uomo e donna. Il personaggio si trasforma in un altro dettaglio superfluo che grava sulla pesantezza del film, che rimane un buon tentativo ma nulla più. Davvero un peccato considerata la buona idea di base e le indubbie qualità di Steve McQueen e di Gillian Flynn. Insieme potevano costituire davvero una combinazione vincente, e invece sono rimasti invischiati nell’eccessiva connotazione sociale della loro opera. In fin dei conti il vero colpo grosso l’hanno tirato loro alle nostre aspettative.