Maurizio Carlini presenta “Il figlio della sarta”, il suo terzo lavoro in studio. A un primo ascolto ci troviamo davanti a un cantautorato moderno e dai toni decisamente pop. Maurizio Carlini sembra un po’ attingere dai moderni autori che tutti conosciamo con alcuni evidenti riferimenti che l’artista paga ad alcuni noti nomi contemporanei.
Tra Max Gazzè, Alessandro Mannarino, Daniele Silvestri e via dicendo l’opera di Maurizio Carlini attinge a piene mani dal panorama musicale italiano per farlo proprio. Ovviamente “Il figlio della sarta” segue, poi, un suo percorso artistico e concettuale, che si snoda e trova il proprio spazio in questi 11 brani.
“Il figlio della sarta”, generi e sfumature sonore diverse
Sicuramente Maurizio Carlini è un artista che ama attingere a generi e sfumature musicali diverse e provenienti da tutto il mondo. “Il figlio della sarta” ci trasporta in un universo sonoro estremamente variegato e in continua evoluzione. Un punto a favore di questo artista è la sua grande duttilità e la naturalezza con il quale “affronta” la varietà musicale e i continui cambiamenti.
In tutto “Il figlio della sarta” sono evidentissime le intenzioni cantautorali di Maurizio Carlini ma la cosa interessante è questo suo essere in grado di portare alla luce idee e sfumature sonore molto diverse tra loro. Il tutto suona abbastanza bene, anche se in certi momenti il rischio del “già sentito” è pericolosamente in agguato, ma scegliendo un certo tipo di cantautorato la cosa è (quasi) inevitabile.
Maurizio Carlini, la prima parte de “Il figlio della sarta”
Ascoltando “Il figlio della sarta”, poi, viene alla luce una situazione particolare: la seconda parte del disco suona decisamente meglio della prima. Se per i primi brani di Maurizio Carlini il suono sembra “sintetico” e poco naturale, lo stesso non si può dire per la seconda parte del disco che suona molto più genuino. Tra i brani contenuti contenuti nella prima parte troviamo, ad esempio, “Innamorato di te”. La classica love song dai toni pop e dalle batterie sintetiche, con un testo sognante e poco incisivo.
Oppure “C’ho da fa”, con palesi richiami a Max Gazzè e alla sua “Sotto casa”. Riferimenti alla cultura digitale e alla mancanza di attenzione verso le cose tangibili; musicalmente simile ma lontana dalla sagacia di Max Gazzè. E ancora “Il figlio della sarta”, la title track che apre il disco. Un “flusso di penseri” che si perde tra i ricordi di Maurizio Carlini e descrive un po’ quello che è il percorso artistico del cantautore che “cuce e modella musiche e parole”.
“Il figlio della sarta”, una ripartenza interessante
Alla seconda metà del disco, quella più incisiva, appartengono brani come “Greta sur marciapiede”, una sorta di jazz elegante e raccontato con dialetto romano malinconico e intenso. O “Genere degenere” che porta in scena un testo interessante e incisivo; con i richiami alla scena cantautorale romana ma che porta alla luce il carattere di Maurizio Carlini.
“Temposocial” riporta in primo piano le contraddizioni dell’epoca dei social e della velocità che non fa più apprezzare le cose tangibili della vita. Una critica alla società digitale cantata e suonata con ironia e un pizzico di maliconia. Non sappiamo se è una scelta stilistica, sembra però che in questo disco c’è una sorta di “confine” invisibile che taglia a metà i brani della tracklist e posiziona quelli un po’ più deboli all’inizio. Magari è materiale più o meno datato.
Comunque se la prima parte de “Il figlio della sarta” non sembrava entusiasmare troppo; nella seconda parte Maurizio Carlini riparte bene, tirando fuori parecchie belle idee e, soprattutto, sonorità molto più interessanti. Diciamo che è sulla seconda metà del disco che emerge il vero carattere di questo artista. Forse sarebbe utile fare un “recap” dell’opera e focalizzarsi per bene su questi brani.
“Il figlio della sarta”, parecchie idee su cui lavorare
“Il figlio della sarta” è un disco che convince a metà e che sembra scritto e registrato in momenti differenti. Se la prima parte dell’opera di Maurizio Carlini sembrava già sentita o comunque meno originale, la seconda metà del disco sorprende piacevolmente. Anzi cambia proprio le carte in tavola.
Ci sono buoni brani e idee interessanti, a volte manca quel pizzico di sagacia che ha caratterizzato, ad esempio, l’opera di Max Gazzè, ma tutto sommato “Il figlio della sarta” ha delle idee niente male. C’è qualcosa da rivedere in questo lavoro ma è evidente che le idee ci sono e sono anche piuttosto interessanti. L’unica cosa che forse potrebbe servire è scegliere verso quale direzione, e quali sonorità, muoversi.